Saturday, December 31, 2011

CORSICA ITALIANA (1938-1943)

LA RIVENDICAZIONE DELLA CORSICA tra il 1930 ed il 1943
di Marco CUZZI
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Nel corso di una lezione tenuta nel marzo 1942 agli studenti di un liceo scientifico bolognese, il professore Umberto Brauzzi riassunse in alcune roboanti frasi l’intera azione politica italiana sulla Corsica e soprattutto le concrete motivazioni poste alla base della rivendicazione fascista dell’isola tirrenica :

« L’antemurale Sardo-Corso, con la Corsica in mano agli estranei, vorrebbe significare la più pericolosa breccia nel nostro dispositivo di difesa, la paralisi di ogni movimento, dall’arco ligure sino al campano. Vincitori senza la Corsica non ci potremmo dire mai ; ché, per apportare al mondo, serenamente, il contributo dell’indiscussa nostra civiltà e all’ordinamento della nuova Europa, è assolutamente necessario che non siano menate le basi del nostro movimento commerciale più ricco : ci occorre cioè il pieno possesso dell’isola1. E ancora, più avanti : La nostra piattaforma di lancio, la penisola, è profondamente vulnerabile, per l’intrusione, nel bel mezzo di una terra nostra, della Francia che sorveglia e preclude le libere vie del mare e dell’aria »2.Al di là delle dichiarazioni di continuità geografica (la Corsica veniva paragonata alla Dalmazia, con la speculare funzione di limite estremo di un « gran golfo » italiano : là l’Adriatico, qui il Tirreno) e di comunità nazionale (i corsi erano definiti come una naturale « filiazione » della « razza italica »), ciò che emergeva dal ragionamento di Brauzzi era la dimensione squisitamente strategica dell’intero impianto rivendicazionista: l’isola tirrenica doveva passare sotto il controllo di Roma per perfezionare la « fortezza Italia », chiudendo in modo particolare l’area della capitale in una sorta di « lago italiano » e permettendo un raddoppio della portaerei naturale sarda nel pieno centro del Mediterraneo.Di certo la rivendicazione trovava anche una remota motivazione in rancori mai sopiti, anzi semmai amplificati con il vicino d’Oltralpe. Emblematica appariva un’altra affermazione del Brauzzi : « Noi dobbiamo arguire della dura battaglia che l’Italia deve ancora sostenere per aggregarsi l’isola più italiana d’Italia »3. Frase emblematica ma anche di articolare peso politico, se si tiene conto del periodo in cui venne enunciata, con una Francia per metà occupata e per metà in bilico tra una neutralità collaborativa e un collaborazionismo totale e convinto nei confronti dell’Asse. Nuovamente, come nel caso delle altre vertenze con la Francia (principalmente Tunisi, Gibuti e il Nizzardo), si assisteva a una complicata e a tratti penosa relazione schizofrenica con Vichy, realtà statale a parole inglobata nel Nuovo Ordine ma nei fatti – e la sopravvivenza di una Corsica francese contro tutte le affermazioni del Brauzzi ne era la testimonianza – ad esso nemico, almeno secondo le considerazioni degli analisti italiani.

La rivendicazione fascista dell’isola tirrenica risaliva agli albori del Regime, e superava per anzianità le vertenze transalpine sulla Provenza e la Savoia. Nel 1924 venne istituito su ordine di Mussolini un « Comitato per la Corsica » avente lo scopo, come si legge in una relazione commissionata dal Ministero degli Esteri nel 1939, di « mantenere tra i regnicoli e i Corsi viva la questione dell’italianità dell’isola »4. La presidenza dell’ associazione fu data a Francesco Guerri, un docente universitario d’origine corsa, affiancato da un incaricato del Ministero degli Esteri e dall’onorevole Quirino Figlioli. Il Ministero dispose sul fondo del gabinetto un «congruo stanziamento» per sostenere le iniziative del Comitato. Nello stesso periodo il dicastero si preoccupò di riorganizzare la rappresentanza diplomatica italiana sull’isola. L’obiettivo era di rendere l’iniziativa irredentista più efficace possibile, dando ad essa un retroterra solido e organizzato composto dalla rete consolare ufficiale:« Benché per ovvie ragioni tali nostri Rappresentanti consolari abbiano sempre avuto in linea di massima istruzioni di « ignorare » l’azione irredentistica, svolta principalmente tramite elementi fiduciari, essi hanno sempre attivamente contribuito a facilitare questa attività riservata, sia collaborando in specifici casi alla messa in atto di alcuni progetti, sia e soprattutto fornendo a Roma precisi elementi di giudizio tratti da un diuturno controllo della situazione corsa »5. L’intera operazione, consolare e legata alle iniziative del Comitato di Guerri, sarebbe stata coordinata dal dicastero degli Esteri nella persona del funzionario del gabinetto marchese Blasco Lanza D’Ajeta. La duplice azione aveva scopi da un lato di « mantenere vive le aspirazioni nazionali italiane »6 e dall’altro di salvaguardare l’« identità italiana» dell’isola, «favorendo al tempo stesso dopo un secolo e mezzo di dominazione francese, la rinascita di un movimento a carattere irredentistico ». Ancora più chiari erano gli ordini dati al « Comitato per la Corsica », il deus ex machina di tutta la futura azione per l’isola e sull’isola : « salvaguardare nei suoi
molteplici aspetti e con tutti i possibili mezzi l’originaria italianità della popolazione ; favorire tra i corsi un sentimento di reazione al dominio francese (autonomismo-irredentismofilofascismo)»7. In quest’ottica fu giocoforza per un verso incentivare in patria ogni azione atta a propagandare l’italianità dell’ isola. D’altro canto si cercò di coinvolgere il movimento autonomista autoctono, o meglio la galassia indipendentista corsa, individuando in essa l’interlocutore più prossimo, animato da un separatismo a senso unico e filo italiano.Dopo un lungo periodo preparatorio, l’iniziativa rivendicazionista ebbe la sua prima stagione operativa all’indomani della crisi etiope, ma soprattutto esplose in tutta la sua virulenza con la celebre manifestazione del 30 novembre 1938 alla Camera, durante la quale i deputati – sapientemente pilotati – gridarono le rivendicazioni dei territori francesi : Tunisi, Nizza, Gibuti e Corsica, originando come ricorda De Felice il definitivo naufragio dei tentati
ravvicinamenti italo-francesi8. Gli strumenti di propaganda dall’Italia si risolsero in tre differenti iniziative.

Anzitutto, fu attivata un’intesa attività giornalistica, attraverso la stampa di un inserto settimanale del quotidiano livornese « Il Telegrafo » (Livorno era una delle città italiane con il più alto numero di cittadini d’origine corsa) ; il settimanale venne posto sotto la direzione dell’ onnipresente Francesco Guerri (sotto lo pseudonimo di « Minuto Grosso ») e fu finanziato direttamente dall’ufficio di D’Ajeta. L’inserto, che divenne ben presto il principale organo di propaganda stampata a favore della causa, ebbe collaboratori quasi esclusivamente d’origine corsa (o fuoriusciti o in Italia da generazioni) e si sarebbe occupato negli anni sia di problemi vari legati all’isola tirrenica sia delle più vaste e articolate relazioni con la Francia, sostenendo una durissima campagna contro il complotto « repubblicano, socialdemocratico e massonico » di Parigi e il sostegno del governo d’oltralpe all’antifascismo internazionale e italiano in particolare. Il settimanale sarebbe stato distribuito clandestinamente in Corsica. All’ iniziativa specifica de « Il Telegrafo » si sarebbe affiancata, con il benestare e lasupervisione del Ministero della Cultura popolare, un’ azione propagandista su alcuni
quotidiani nazionali che si sarebbe intensificata, come avrebbe scritto sagacemente DAjeta «particolarmente nei momenti di maggior disagio con la Francia »9.Il secondo strumento operativo fu rappresentato dalle varie iniziative d’ordine scientifico e culturale. Un rivista trimestrale, « L’Archivio storico di Corsica », sotto la prestigiosa direzione dello storico del regime Gioacchino Volpe, si sarebbe occupata di studi storico-letterari inerenti all’isola, con particolare riferimento alle fasi di maggiore legame con la Penisola (la dominazione della Repubblica del Grifone, ad esempio) a tutti quei personaggi caratterizzati da uno spiccato impegno autonomista o indipendentista (come Pasquale Paoli) o a tutti i corsi che avevano influito sulla vita culturale e politica francese, nel tentativo di dimostrare una superiorità corsa rispetto alla Potenza « colonizzatrice » che sottilmente sottintendeva per sillogismo una superiorità della « razza italica » : campione di queste analisi non poteva che essere, ça va sans dire, il Grande Corso per eccellenza, Napoleone Bonaparte (anzi, Buonaparte, secondo la denominazione originale del cognome, e che veniva ribadita dagli studiosi italiani per sottolinearne l’origine peninsulare)10. Anche la rivista di Volpe sarebbe stata distribuita clandestinamente sull’isola tirrenica. L’infaticabile Guerri si sarebbe occupato altresì di dirigere un mensile di divulgazione scientifica (« Corsica antica e moderna »), con il fuoriuscito ex dirigente autonomista corso Marco Angeli come caporedattore11. Il periodico avrebbe dovuto affiancarsi alla rivista di Volpe, completandone l’opera con studi d’ordine antropologico, etnografico, geografico e finanche geologico, tutti atti a ribadire per l’ennesima volta il legame con la vera e unica « madrepatria ». Il docente dell’Università di Pavia Gino Bottiglioni avrebbe infine coordinato le pubblicazioni dell’ «Atlante linguistico della Corsica », finanziato da un consorzio tra i Ministeri degli Esteri,
dell’Interno e dell’Educazione nazionale nonché dall’Università di Cagliari, uno degli atenei più attenti all’operazione verso l’isola tirrenica. Lo scopo, intuibile sin dalla denominazione
della testata, era quello di individuare tutti i possibili legami glottologici e linguistici tra la Corsica e l’Italia, per giungere alla dimostrazione della tesi secondo la quale « le origini
idiomatiche corse sono strettamente legate a quelle toscane, sarde e sicule »12.

Il terzo strumento di propaganda in Italia fu caratterizzato dai Gruppi di cultura corsi (Gcc) costituiti a Pavia nel 1938 su iniziativa di Pietro (Petru) Giovacchini, detto « il parroco » (u parrucu). Nato nel 1909 in Corsica, a Canale di Verde, e trasferitosi a Pavia nel 1930 dove si era laureato in medicina e chirurgia, Giovacchini, che fu anche camicia nera volontaria in Spagna, sarebbe diventato negli anni seguenti il principale esponente del movimento irredentista filofascista. Scopo dei Gcc di Giovacchini era, in origine, quello di inquadrare sotto un’unica sigla tutti i cittadini italiani d’origine corsa e i corsi fuoriusciti, allo scopo di promuovere l’italianità dell’isola sia dal punto di vista culturale che linguistico. Nei giorni immediatamente successivi al settembre 1939 l’ufficio di D’Ajeta, attraverso il « Comitato per la Corsica », iniziò un monitoraggio sui dichiarati 15 mila iscritti ai Gcc (concentrati soprattutto in Liguria, Toscana e Sardegna) per comprendere se vi erano le condizioni per trasformare, con corrispondente ed adeguato finanziamento da parte del Ministero, l’iniziativa culturale dei Gruppi nell’attiva propaganda irredentistica collegata con i movimenti clandestini sull’isola. Si trattava tuttavia di un progetto ipotetico che, almeno sino al 1939, non sarebbe stato applicato : le condizioni non sussistevano e i Gcc avrebbero dovuto ricoprire incarichi meno dirompenti13. Questa organizzazione, secondo il diplomatico italiano, poteva diventare un utile « movimento d’opinione », atto a coordinare da un lato la diffusione in madrepatria della battaglia per una Corsica prima indipendente dalla Francia e quindi di nuovo italiana e dall’altro l’inserimento dei cittadini corsi residenti in Italia, o recentemente fuoriusciti dall’isola tirrenica, nel pieno della vita nazionale. In questo D’Ajeta suggeriva al Capo di gabinetto del Minculpop, Luciano, di facilitare l’inserimento dei corsi residenti in Italia nella vita del Paese, riconoscendo loro uno status particolare non di cittadini stranieri (e di li a poco « appartenenti a nazione nemica ») , ma di « cittadini italiani non regnicoli », secondo una formula adottata anche nei confronti degli italiani di Spalato e dalmati sottoposti all’amministrazione jugoslava. Inoltre, sarebbe stato auspicabile che i corsi fossero ammessi nel Partito nazionale fascista, anche se formalmente non italiani14. Nei disegni di D’Ajeta i Gcc di Giovacchini avrebbero dovuto affiancarsi alle autorità nel sovrintendere e canalizzare l’inserimento della comunità corsa in Italia all’interno della
vita nazionale. I rischi di questo compito erano tuttavia ben chiari al diplomatico italiano : si sarebbe mantenuto « […] uno stretto controllo cui suoi ben noti entusiasmi di Giovacchini che potrebbero alle volte rivelarsi intempestivi », mentre ai Gruppi stessi non sarebbero stati affidati « […] compiti direttivi » né « […] la possibilità di essere a conoscenza della riservata azione italiana nel suo complesso » : le caratteristiche del temperamento corso, concludeva D’Ajeta non senza ironia, forse involontaria, e cioè un temperamento « facile all’entusiasmo ed all’abbattimento, partigiano, fazioso, interessato » sconsigliavano un salto qualitativo dei Gruppi in un’organizzazione esplicitamente eversiva, una sorta di ustaša tirrenici15. In realtà l’esclusione dei Gcc di Giovacchini dall’azione meramente irredentista e il loro sconfinamento ad iniziative propagandiste e d’inquadramento in Italia più che da motivi di inaffidabilità caratteriale era suggerita dalla delicata rete che l’Ufficio di D’Ajeta aveva esteso sull’isola attraverso sia il « Comitato per la Corsica » di Guerri, sia la rete diplomatica
rafforzata dalla riforma della metà degli anni venti.Principale strumento dell’iniziativa in loco fu il « Partitu corsu d’azzione » (Pca) di Pietro (Petru) Rocca, un ex combattente, decorato con la Legion d’Onore dallo Stato maggiore francese. Attraverso l’organo ufficiale del partito, il settimanale bilingue francocorso « A Muvra », il movimento di Rocca si era rapidamente spostato da una posizione moderatamente autonomista su una sempre più spiccata istanza indipendentista e nettamente filo italiana. Radiato dall’albo della Legion d’Onore, Rocca era perennemente controllato
dalla polizia francese, rischiando quotidianamente l’arresto mentre il suo giornale aveva subito numerosi sequestri sino alla sospensione d’obbligo delle pubblicazioni subito dopo lo scoppio della guerra con la Germania. Pur senza entrare nei dettagli, per questioni « di particolare riservatezza », D’Ajeta elencava il Partito e il giornale di Rocca come «strumenti» dell’iniziativa italiana sull’isola tirrenica, sottintendendo la natura e il volume degli appoggi che il governo di Roma riservava al movimento autonomista insulare16 : il principale trait d’union tra il Partito autonomista e il Comitato per la Corsica sarebbe stato l’ex dirigente del partito Marco Angeli, caporedattore di « Corsica antica e moderna » e « decano » del fuoriuscitismo. In una successiva lettera assai polemica nei confronti del
Giovacchini, ritenuto incapace e indegno di guidare i Gcc, Angeli avrebbe riassunto il programma del partito di Rocca come segue : « Il programma […] si riallaccia alla tradizione di Pasquale Paoli, riafferma lo spirito battagliero dei corsi contro la tirannide francese ammantata d’ipocrisia e d’immorali principi e sostiene per la Corsica le ragioni della riscossa »17. Le attività italiane sull’isola vennero condotte complessivamente con grande abilità e riservatezza, tanto da non suscitare almeno da parte del corpo diplomatico francese in Italia alcun sospetto, anzi. È interessante notare infatti il relativo disinteresse transalpino nei confronti delle articolate attività irredentiste e rivendicazioniste in Italia. A distanza di quasi due mesi dal « salto qualitativo » del movimento irredentista François-Poncet, ambasciatore francese in Italia, scriveva al suo Ministro degli Esteri Georges Bonnet una breve relazione nella quale riassumeva con molte incertezze la rete propagandista di D’Ajeta, Guerri e
Giovacchini, facendo trasparire una inspiegabile difficoltà nel raccogliere informazioni più precise, anche attraverso il consolato francese a Livorno, intuita dai diplomatici come la vera centrale operativa della propaganda irredentista. Interessante il commento di chiusura : « J’ai
cru devoir signaler, à toutes fins utiles, à l’attention du Département ces indications évidemment quelque peu fragmentaires. Elles me paraissent cepoendant de nature à
démontrer l’intérêt croissant que pour des raisons au moins tactiques, et peut-être pour obtenir, le cas échéant, d’autres avantages en échange d’un éventuel désistement, le
gouvernement italien porte ou affecte de porter désormais à ‘l’île perdue’ »18.Questo atteggiamento piuttosto disincantato e di sottovalutazione del problema, da
parte della diplomazia francese, sarebbe proseguito anche nei mesi successivi : « On constate qu’aujourd’hui, rien n’est fait ici [in Italia – NdA] pour enflammer à cet egard le moral de la nation », si legge ad esempio in un nuovo dispaccio di François-Poncet a Parigi in merito alle
solite rivendicazioni italiane, tra le quali la Corsica19. Un trucco, quindi, un ballon d’essai propagandistico ad uso più interno che esterno : delle operazioni riservate condotte in Corsica dal Comitato di Guerri e dall’ufficio di D’Ajeta, non compare alcuna traccia nelle relazioni
dei rappresentanti diplomatici transalpini in Italia.Inaugurate alla fine del 1938, le operazioni irredentiste avrebbero subito un rallentamento nel settembre 1939. Lo scoppio delle ostilità aveva ridotto la portata delle iniziative sull’isola. Quelli che il diplomatico italiano definiva « contatti con personalità corse », senza specificarne nomi e qualifiche, apparivano impossibili sin dai primi giorni del settembre. Anche le sovvenzioni che erano state erogate negli anni precedenti a favore della
stampa isolana più filo italiana sembravano « molto difficili », anche se d’Ajeta confidava in un non meglio precisato miglioramento futuro delle condizioni per riaprire un canale con
alcuni quotidiani corsi. Assai precaria risultava la distribuzione clandestina della pubblicistica italiana (dall’inserto de « Il Telegrafo » alle riviste culturali e scientifiche). Apparentemente
in condizioni migliori appariva un altro strumento, probabilmente ancora più importante e radicato del Partito di Rocca : « Fedeli alla nostra causa, alla quale hanno reso e rendono preziosi servizi, si sono dimostrati alcuni Ordini religiosi con i quali il « Comitato » intrattiene riservati e opportuni contatti »20.Ma, in generale, l’iniziativa in loco apparve sin dal primo mese di guerra alquanto
limitata, e ben poco serviva la non belligeranza italiana : i fiduciari italiani legati al « Comitato per la Corsica » e incaricati dai diplomatici di mantenere la rete quadrangolare (autonomisti-personalità locali-giornali-clero) correvano « rischi notevolissimi », mentre, essendo la Corsica stata dichiarata « zona operativa » dallo Stato maggiore francese, avrebbe presto subito lo stesso destino dell’Alsazia dove, come ricordava D’Ajeta, i locali capi autonomisti del movimento pronazista erano stati da poco condannati alla fucilazione per alto tradimento : « Noi abbiamo qualcuno dei nostri ‘amici’ nelle prigioni militari francesi ». Inoltre : « La popolazione è antitaliana e certamente antifascista : gli autonomisti – un esiguo numero – non dimostrano certamente velleità di martirio. I più coraggiosi sono indubbiamente ora in Italia, avendo « disertato » l’esercito francese »21.Dinanzi a un siffatto quadro, il Ministro della Cultura popolare, Alessandro Pavolini concordò con il Ministero degli Esteri sull’opportunità di sospendere le attività in Corsica, mantenendo i contatti ma evitando di aggravare la già precaria situazione della rete del « Comitato » con iniziative concrete : si doveva attendere la maturazione delle condizioni politiche e militari22.

Nel clima d’attesa e d’incertezza caratterizzante la non belligeranza, la decisione presa dal Governo di sospendere l’iniziativa sull’isola si allargò anche nei confronti dell’attività propagandista in Italia. Del fatto si accorse anche François-Poncet, che segnalò a Parigi la riduzione dell’attività propagandista sui giornali nazionali, motivandola con i tentativi della diplomazia italiana di giungere a una mediazione nel corso della crisi d’agosto 193923. Il Comitato ordinò a Giovacchini di sospendere ogni azione. Si tenga presente che lo scoppio della guerra con la Germania aveva avuto un’ulteriore risvolto anche in Italia : più di metà dei principali esponenti dei Gcc, talvolta per un riscoperto sentimento patriottico e il più delle volte per timore di rappresaglie del governo di Parigi, era rientrata sull’isola tirrenica24.Disciplinato, contro tutti i sospetti di D’Ajeta che come si è detto lo giudicava impulsivo e
irrequieto, il leader irredentista inviò a tutti i Gruppi distribuiti nella Penisola una circolare che, pur comandando il silenzio, lasciava presagire una futura offensiva addirittura più militare che di propaganda : « Periodo di attesa e di preparazione silenziosa. Astenersi da qualsiasi manifestazione pubblica o di massa ; non intralciare il lavoro della nostra diplomazia. Non scoprire le nostre batterie, ma non per questo abbandonarle. Io farò sapere quando sarà venuto il momento di agitarsi »25.
L’attività dei Gruppi di Giovacchini e più generalmente del Comitato per la Corsica si ridussero sino al maggio 1940 e l’impegno dei principali dirigenti della comunità corsa in Italia appare assai più prosaico e meno ideale del periodo precedente, concentrato soprattutto su una serie di favori personali richiesti a Mussolini attraverso sia gli Esteri che il Minculpop26. Il 22 maggio 1940 Giovacchini si incontrò con Pavolini : la data è fatidica, almeno per la breve storia della rivendicazione fascista della Corsica, e segna l’avvicendamento tra il capo dei Gcc e il « Comitato per la Corsica » di Guerri, ormai definitivamente anestetizzato, alla guida dell’iniziativa propagandista.

Giovacchini illustrò al Ministro della Cultura popolare lo stato della sua organizzazione, probabilmente forzando sui numeri e amplificandone le effettive possibilità. I Gruppi di cultura corsi ammontavano a 170 sezioni, sia in Italia che all’estero, per un totale di 22 mila iscritti. I quadri attivi erano circa 250,
anche se solo una parte potevano essere effettivamente impiegati in eventuali e non precisate «azioni». Pavolini concordò con il presidente dei Gcc – ribattezzatosi forse in vista di un salto qualitativo in campo bellico « presidente generale» –di intensificare la propaganda e di dare il via alla « costituzione e addestramento di un nucleo d’azione, da tenere pronto per essere inviato in Corsica a un momento dato »27.Si trattava di un’esplicita risposta a una dichiarazione da Giovacchini al ministro soltanto alcuni giorni prima (« I Corsi irredenti riuniti a Roma sono decisi a passare all’azione »)28. Il ministro stanziò 30 mila lire per le spese di propaganda, alle quali si aggiunsero cinque mila lire per l’acquisto da parte del Minculopop di un opuscolo sulla Corsica a cura dei Gruppi stessi29. Tuttavia, la tanto agognata « azione » non venne neppure dopo il 10 giugno. I Gcc non si mossero e la propaganda continuò ad essere sospesa. L’unico significativo atto corrispondente al nuovo stato di guerra fu la trasformazione dei Gruppi di cultura in « Gruppi d’azione irredentista corsa » (Gaic). In un impeto di entusiasmo, esemplificativo peraltro di una certa confusione organizzativa e organigrammatica, Giovacchini ribattezzò poco dopo i Gaic prima in « Movimento irredentista corso » e quindi in « Movimento d’azione irredentista corso » (Maic) : il tentativo era quello di gettare le basi per una vera e propria organizzazione insurrezionale che affiancasse le truppe italiane nella « liberazione » dell’isola30. Ulteriore segnale della volontà degli irredentisti di Giovacchini di darsi una struttura più militante fu lo scorporo dal movimento di tutta l’iniziativa scientifico-culturale, attraverso la costituzione dell’« Istituto nazionale di studi corsi » a Pavia, il quale organizzò lezioni universitarie, una mostra a Venezia sull’italianità dell’isola, iniziative e mobilitazioni per l’intitolazione di piazze e vie alla Corsica e a Pasquale Paoli. Libero dall’impegno culturale, Giovacchini poteva lanciarsi finalmente nell’impresa politica e forse militare. Ma la partita era tutta diplomatica e comprendeva da un lato i rapporti tra Italia e Germania e dall’altro la complicata questione armistiziale con la Francia. All’indomani del crollo francese il governo italiano aveva inserito la Corsica tra le prioritarie richieste territoriali : « L’unione all’Italia » si leggeva nel cahier de doléances del Ministero degli
esteri alla vigilia del vertice italo tedesco del giugno 1940 « è la condizione prima e fondamentale per il suo sviluppo e la sua prosperità. La Corsica è italiana geograficamente, storicamente ed etnicamente »31. Nei progetti iniziali della Commissione italiana per l’armistizio con la Francia (Ciaf), la Corsica sarebbe stata inserita tra le aspirazioni apparentemente irrinunciabili. Tuttavia, le lunghe trattative di Villa Incisa e poi l’infinita vertenza della Ciaf avrebbero visto la rivendicazione corsa in una posizione sempre più sfumata. Una delegazione della Ciaf giunse in Corsica nel luglio 1940 e apparentemente il tema trattato con le locali autorità vichysois  sembrò più orientato verso la smilitarizzazione dell’isola, secondo le clausole di Villa Incisa. I delegati italiani apparvero quindi molto rispettosi dell’autorità francese, prendendo le distanze dall’estremismo dei seguaci di Giovacchini o di Guerri. Tuttavia, come ricorda Rainero « Non si creda che la rinuncia all’annessione immediata della Corsica sia passata tra le decisioni più facili del regime ; la rivendicazione rimase quasi « a futura memoria », in attesa di un regolamento della pace [...] »32. D’altronde non a caso il maresciallo Badoglio, soltanto due mesi dopo la visita della delegazione della Ciaf sull’isola, sottopose a Mussolini un progetto per l’invasione della Corsica mediante due divisioni, provenienti rispettivamente da Livorno e dalla Sardegna33. Il piano si sarebbe sviluppato nei mesi successivi. Nell’incontro tra i capi di stato maggiore della marina italiana e tedesca, tenutosi a Merano il 13 e 14 febbraio 1941, l’ammiraglio Riccardi disse chiaramente al suo collega germanico Raeder che lo stato maggiore della marina aveva predisposto un piano per l’occupazione dell’isola, suscitando peraltro disapprovazione da parte tedesca : l’occupazione della Corsica non solo era considerata dal Terzo Reich inutile, ma anzi dannosa nella strategia globale del conflitto, e avrebbe spinto definitivamente Vichy (e senz’altro l’intero Nordafrica francese, ancora tentennante) tra le braccia dei britannici34. Irritati delle opinioni dell’alleato, ma impossibilitati a prescindere da queste visti i rapporti di forza all’interno dell’Asse, i comandi italiani proseguirono nel perfezionamento solo teorico del piano, in attesa di tempi più favorevoli, e lo trasformarono in un progetto interforze tra marina ed esercito. Il nuovo piano, redatto dall’ammiraglio Vannutelli (che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di comandante dell’eventuale contingente d’occupazione), escludeva significativamente l’impiego dei separatisti di Rocca e tanto meno degli irredentisti di Giovacchini, entrambi considerati infidi e pasticcioni. Pur prevedendo ampie tutele all’« etnia corsa » (riconoscimento dei diritti acquisiti degli impiegati corsi, uso del dialetto corso nei processi eccetera), l’isola sarebbe stata governata da un viceré (come l’Albania) o da un alto commissario (come la Slovenia) con pieni poteri esecutivi e due sotto-governatorati ad Ajaccio e a Bastia, corrispondenti alle due zone (le « Bande ») in cui veniva tradizionalmente suddivisa l’isola tirrenica35.

N.B.: Il testo viene tratto dal libro di Marco Cuzzi intitolato “La rivendicazione fascista della Corsica (1938-1943)”. 

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 OCCUPAZIONE ITALIANA DELLA SOMALIA FRANCESE OCCIDENTALE:





 
PRINCIPATO SALERNO e DUCATO PUGLIA-CALABRIA NEL 1100:

PIETRO GIOVACCHINI (patriota della Corsica italiana)

PETRU (PIETRO) GIOVACCHINI ….......Un patriota esule in Patria

Chi era Petru GIOVACCHINI, irredentista corso, uomo d’azione dalla vita avventurosa e dal fulgido ingegno, dottore in medicina e chirurgia e poeta romantico? Qual’era il suo bellissimo sogno, rimasto purtroppo irrealizzato, d’una Corsica libera ed unita alla Madrepatria italiana, nel contesto del movimento irredentista corso negli anni ‘30 e ‘40? …In effetti, per conoscerlo veramente ed apprezzarne il pensiero e l’opera, occorre ricostruire, almeno per sommi capi, la sua storia affascinante.
L’Eroe nacque nel bel paese di Canale di Verde, nella parte centro-nord-orientale della Corsica, il 1° febbraio del 1910, da antica e nobile famiglia di schiettissimi sentimenti italiani. Quando il Nostro venne alla luce, il regime di occupazione francese sulla sua terra si protraeva da ben 140 anni circa, schiacciando tutto ciò che di italiano esisteva. Sin da giovinetto, collaborando con il benemerito giornale autonomista “A Muvra” (…”Il muflone” in dialetto corso; l’animale simbolo che libero s’inerpica sulle alte vette dell’isola), diede impulso e consistenza alle sue idee di libertà, italianità per la sua isola. Ben presto cominciarono i problemi con le autorità occupanti parigine: già nel 1927 venne espulso dal francese “Lycée National” di Bastia per i suoi sentimenti di italianità. Fondò il periodico “Primavera” che, in seguito, fu sequestrato dalla polizia francese. In questa rivista pubblicò la prima raccolta di poesie “Musa Canalinca”, mentre nel 1930 diede alle stampe “Rime notturne”.
Continuò ad essere un instancabile attivista ed irriducibile assertore del ricongiungimento della propria Isola alla Madrepatria Italia, si rafforzarono i contatti con attivisti irredentisti della cultura italiana ed amici della Corsica in ogni parte della penisola, avendo sempre peggior problemi con le autorità d’occupazione di Parigi, che lo tenevano sotto stretto controllo e lo avevano privato dei documenti di “espatrio” (dato che la nostra cara Corsica, aihnoi, risultava formalmente …Francia!). Conseguentemente, deluso - per il suo carattere indomito e battagliero - dalle morbide direttive d’azione del movimento autonomista corso, con seri rischi, ritenendo di avere più possiilità di successo pr la lotta di liberazione intrapresa, decise di fuggire nella vicina Penisola.
Qui venne accolto fraternamente. Nel 1930, ristabilendo orgogliosamente e coraggiosamente le antiche consuetudini della gioventù corsa, venute in decadenza a cagione delle “pressioni” e della ostilità delle autorità di occupazione parigine, s’iscrisse all’Università di Pisa, alla facoltà di medicina e chirurgia. Nel contempo, era stato chiamato alle armi dal governo francese e, essendo di nascosto tornato sull’isola, venne arrestato e internato in Francia al Fort de la Drette. Dovette anche servire la Francia quale soldato di leva! Ritornato a fine ferma nell’Isola, niente meno che nel settembre 1933, le autorità “pinzute” gli negarono il visto d’ingresso in Italia e lo tennero sotto stretta “sorveglianza” …il 1° ottobre dello stesso anno, infine, fù costretto a fuggire definitivamente dalla sua amatissima Isola, su una fragile barca e, dopo 3 giorni di avventurosa navigazione, approdò sulla dirimpettaia costa toscana nei pressi di Pisa.

Da questo momento in poi, l’opera dell’Eroe appare vorticosa e travolgente, il suo irredentismo, ampiamente sostenuto dal Governo italiano, che fieramente reclamava l’Isola Sorella, andava divampando come fuoco! Il 27 Novembre 1933 fondava a Pavia i famosi e benemeriti “Gruppi di Cultura Corsa” che, successivamente, si trasformeranno apertamente negli ancor più famosi e benemeriti, quanto indomiti “Gruppi d’Azione Irredentista Corsa”. Nel 1936 si laureava in medicina e chirurgia e, subito dopo, partiva volontario, quale ufficiale medico di un Reggimentio di CC.NN., per l’Africa Orientale Italiana, allora in costruzione. Si ammalò di malaria e, nel luglio del 1937, dovette rientrare in Italia, ma solo perchè costretto dalle ragioni di salute. Non pago, subito ripartiva volontario per la guerra civile in Spagna. Per la sua operosa abnegazione e per il suo coraggio (…tipici caratteri dei fratelli corsi) gli vennero concesse sul campo diverse decorazioni e la medaglia di bronzo al valore militare.
Nel giugno del 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, L’Eroe infiammava letteralmente la Penisola con mille manifestazioni invocanti l’unità della Corsica all’Italia. Nel 1942, per i suoi meriti patriottici, Petru GIOVACCHINI venne nominato Consigliere Nazionale nella XXX Legislatura e rappresentante della Corsica presso la Camera Italiana (Camera dei Fasci e delle Corporazioni). La sua benemerita creazione, i “Gruppi d’Azione Irredentista Corsa”, successivamente viene eretta in Ente Morale, grazie al lascito della nobildonna Pia BOSI di San Cesario sul Panaro, conquistata alla causa di redenzione dei fratelli Corsi.
In seguito ai tristi avvenimenti del luglio 1943 prima, ed aprile 1945 poi, l’alacre ed apassionata attività del GIOVACCHINI venne, suo malgrado, fortemente ridimensionata a causa di quelle ben note vicende. Nell’immediato dopoguerra, passata la prima ventata di persecuzioni, da parte delle vendicative autorità “pinzute” che ripristinavano lo status-quo padronale del loro possedimento Corsica, l’indomito Eroe venne condannato a morte in contumacia, nell’ottobre-novembre 1945, dal Tribunale Militare Supremo dello Stato Francese, in Bastia. Di tale condanna egli fù sempre altamente orgoglioso! Nel dopo guerra, riprese la sua funzione di medico condotto in un ospitale paese del Lazio, Canterano in provincia di Roma, che tanto gli ricordava, per la circostante verde natura, per il carattere e per il dialetto degli abitanti, l’indimenticato paese natio di Canale di Verde e la sua Isola tutta. In questo borgo accogliente, amato e rispettato da tutti i paesani, minato da un male contratto in guerra, GIOVACCHINI, il grande patriota ed eroe che solo si definiva “CORSO”, in assoluta onestà e povertà, rese l’anima al Signore il 29 settembre 1955, confortato dai non molti abitanti di varie contrade dell’Italia unita e corsi che, dopo gli immani sconvolgimenti, ancora fieramente credevano nei valori eterni di Patria ed unione sociale.
Con la sua morte, finiva l’epopea della avventurosa vicenda terrena dell’Eroe “Corso tra i Corsi” e, perciò, “Italiano tra gli Italiani”.
Un velo di oblio è sempre stato deliberatamente steso, sulla figura dell’Eroe e sulle sue vicende, dalla Francia dominatrice e dai tanti governi immemori della penisola, ma occorre infine far sapere che ci furono, nonostante la repressione pinzuta e la forzata diseducazione all’italianità, accanto al Nostro Petru GIOVACCHINI, dei corsi che si arruolarono volontari in Italia, facendosi onore nella guerra civile di Spagna.
Anzi, è proprio dalla terra insaguinata di Spagna che, Petru GIOVACCHINI ed altri giovani isolani aderenti ai benemeriti “Gruppi d’Azione Irredentista Corsa”, lanciarono nel settembre del 1938, un manifesto che merita di essere riprodotto, perchè vibra tutto di quell’indomità fedeltà alla Madre Patria di cui il grandissimo Eroe Pasquale PAOLI, precursore dell’illuminismo italiano, fù la figura più radiosa:
…AI FRATELLI D’ITALIA.
ITALIANI, NON DIMENTICATE LA CORSICA!
NON DIMENTICATE LA CORSICA, TERRA ITALIANISSIMA, CHE PER DUE MILLENNI DIVISE LE SORTI DI ROMA IMPERIALE, DI ROMA PAPALE, DI PISA E DI GENOVA; NON DIMENTICATE I CORSI, GENTE DI NOSTRA GENTE, CHE HANNO SANGUE ITALIANO NELLE VENE, CHE PARLANO UN IDIOMA ITALIANISSIMO.
ITALIANI, NON DIMENTICATE LA CORSICA!
I NOSTRI AVI LOTTARONO STRENUAMENTE, FEROCEMENTE, PER RIMANERE ITALIANI. FURONO PIEGATI DALL’ORO E DAL TRADIMENTO FRANCESE, NON DALLE ARMI. LA STORIA DI QUESTA DOLOROSA PASSIONE HA PAGINE FULGIDISSIME DI EROISMI. OGNI UOMO ERA ALLE ARMI; LE DONNE ED I FANCIULLI, PUR DI AIUTARE NELLA RESISTENZA CONTRO I FRANCESI, ERANO AL LATO DEI SOLDATI E, SE ALCUNO RIMANEVA FERITO, SI PONEVANO DAVANTI AI VALIDI PER FAR LORO SCUDO; I SACERDOTI, PRIMA DELLE BATTAGLIE, ADUNAVANO IL POPOLO IN CHIESA E, DAVANTI AL SANTISSIMO, FACEVANO “GHJURARE DI UN ESSE MAI FRANCESI”; I SOLDATI PRIMA DI MORIRE LANCIAVANO L’ESTREMO ATTO DI FEDE: “EU SO ITALIANU”.
ITALIANI, NON DIMENTICATE LA CORSICA!
LA FRANCIA UCCIDE SISTEMATICAMENTE QUELLO CHE ANCORA DI ITALIANO RIMANE NELL’ISOLA DOPO SECOLI DI DOMINAZIONE STRANIERA. PROIBISCE LA LINGUA ITALIANA, CHE E’ LA LINGUA DEL POPOLO, NELLE SCUOLE, NELLE CHIESE, NEI TRIBUNALI. STRAPPA I NOSTRI GIOVANI DALLA LORO TERRA E LI MANDA NELLE COLONIE E LI RESTITUISCE, DOPO POCHI ANNI, AMMALATI ED INVALIDI. LE CAMPAGNE SONO INCOLTE, LE INDUSTRIE MORTE, I PAESI CADENTI E SPOPOLATI.
ITALIANI, NON DIMENTICATE LA CORSICA!
CHI FRA NOI MANIFESTA LA SUA SIMPATIA VERSO L’ITALIA, ANTICA MADRE, VIENE PERSEGUITATO. LA SCHIERA DI ESULI RIFUGIATI IN ITALIA AUMENTA SEMPRE DI PIU’. SIAMO FUGGITI DALLA NOSTRA ISOLA E SIAMO VENUTI TRA VOI, NOI, ITALIANI FRA ITALIANI E FRATELLI TRA FRATELLI, PER DIRVI:
ITALIANI, LA CORSICA MUORE!
ITALIANI, NON DIMENTICATE LA CORSICA!
Viva L’italia, Viva la Corsica Italiana!
Onore a Petru GIOVACCHINI! ========================================================================

Da Tradurre: '''SALERNITANA DEL TUY''' {{Ficha de equipo de fútbol | Nombre = Salernitana del Tuy | Nombre completo = Salernitana del Tuy Fútbol Club | Apodo(s) = ''STY'' | Fundación = 2003 | Desaparición = 2005 | Estadio = Efren Rodriguez
[[Ocumare]], {{bandera|VEN}} [[Venezuela]] | Capacidad = | Inauguración = | Presidente = | Entrenador = | Liga = | temporada = 2003-2004 | posición = 5° }} La '''Salernitana Tuy''' fue un equipo profesional del futbol [[Venezuela|venezoano]][https://forovinotinto.com/equipos/perfil.php?id=sty Vinotinto: STY]. ==Historia== El equipo fue fundado en el 2003 por [[Italo venezolanos|Italianos]] originarios de la provincia de la ciudad del sur de Italia llamada [[Salerno]]. El equipo fue creado en [[Ocumare del Tuy]], estado Miranda, para la numerosa comunidad italiana residente en esta ciudad venezolana. El equipo jugaba en el estadio "EFRÉN RODRÍGUEZ" de Ocumare y participó en el campeonato (3) 2003-2004 de la Liga de Futbol de Venezuela[https://www.rsssf.org/tablesv/venez04.html. RSSSF] El torneo fue bastante positivo pare el equipo, que llegó de quinto y jugó junto con: *1.[[Hermandad Gallega Fútbol Club|Hermandad Gallega de Valencia]] *2.Ban Valor FC *3.[[Deportivo Miranda Fútbol Club|Deportivo Miranda F.C.]] *4.Yaritagua FC *5.Salernitana del Tuy *6.Academia Maracay El equipo estaba asociado con el [[Era D'Ambrosio del Deportivo Italia|Deportivo Italia]] de [[Caracas]] y recibió algunos jugadores de este equipo como refuerzos en el 2004.Estos jugadores de la reserva juvenil del Deportivo Italia jugaron contra el Academia Maracay, anotando los dos goles de la victoria del Salernitana del Tuy Por razones financiarias el equipo fue anulado en el 2005. ==Notas== ==Véase también== * [[Fútbol de colonias en Venezuela]] * [[Era D'Ambrosio del Deportivo Italia]] [[Categoría:Equipos de fútbol desaparecidos de Venezuela]] ================================================================================================== ================================================================================ '''SALERNO LONGOBARDA''' Salerno fu conquistata per la prima volta dai longobardi del principe [[Arechi I]] nel 620 AD e da allora per cinque secoli fino al 1077 la città di [[San Matteo]] fu dominata da una minoranza di origine germanica, che le ha lasciato un'impronta indelebile: con il [[Principato di Salerno]] di [[Guaimario IV]] Salerno divenne praticamente la prima capitale di tutto il meridione continentale italiano (unificato per la prima volta dai tempi della fine dell'impero romano). Inoltre la Salerno longobarda ebbe la prima "università" di medicina in [[Europa]]: la famosa -internazionalmente e storicamente- [[Scuola Medica Salernitana]]. ==Storia== Salerno -pur essendo al centro costiero della regione [[Campania]]- ha sempre avuto "origini" settentrionali nella sua storia: fu fondata dai [[Romani]] in un teritorio [[etruschi|etrusco]]la sezione di [[Fratte]] ha origini etrusche. E' un rione periferico di Salerno, sede di un [[Area archeologica etrusco-sannitica di Fratte|parco archeologico etrusco-sannitico]]. A differenza della vicina [[Napoli]] che fu fondata dai [[Greci]] e poi dominata dai [[Bizantini]], Salerno "romana" divenne "longobarda" nel settimo secolo, avendo una popolazione [[Romanici|romanizzata]] con una numerosa minoranza germanica quando [[Arechi II]] fondò il [[Principato di Salerno]] nel 774 AD. Studiosi come AjelloDocente dell'Università di Salerno ([https://www.edisud.it/index.php?route=product/author/info&author_id=263]) stimano che nell'ottavo secolo a Salerno oltre un terzo della popolazione parlava ancora la [[lingua longobarda]] mescolata notevolmente con parole e frasi [[lingua romanza|neo-latine]]. Il professore Ajello afferma che a Salerno in quel secolo su una popolazione di circa 6000 abitanti, oltre 2500 erano longobardi. Ed erano concentrati nel quartiere alto del centro storico, sul colle dove vi era il Castello di Arechiancora oggi nelle prime c;assi delle scuole elementari dell'area urbana di Salerno sulle pendici iniziali del "monte Bonadies" (sulla cui cima c'e il castello) la maggioranza dei bambini ha capelli castano-biondastri ed occhi parzialmente chiari Dopo una lunga lotta tra i [[Bizantini]] ed i [[Longobardi]] nkiziata intorno al 620 AD, nel 646 AD la città cadde definitivamente in mano a questi ultimi come parte del [[Ducato di Benevento]], anche se le testimonianze di presenze longobarde, già a partire dal [[VI secolo]],sono accertate dal ritrovamento di una tomba, nel [[Complesso archeologico di San Pietro a Corte]], di una bambina di nome Teodonanda, morta il 27 settembre [[566]].Luciana Baldassarri, ''"Salerno nella leggenda"'', p.13, ed. BiMed, ISBN 88-88543-00-7 Con l'avvento della [[Regno longobardo|dominazione longobarda]] la città conobbe il periodo più ricco della sua storia, durato più di cinque secoli. Nel 774 AD il principe di [[Benevento]] [[Arechi II]] decise di trasferire la sua corte a Salerno. La città acquistò importanza e furono edificate numerose opere, tra cui la sontuosa reggia, della quale rimangono tracce sparse nel centro storico, edificio a cui si affiancava la Cappella Palatina ([[Chiesa di San Pietro a Corte (Salerno)|Chiesa di San Pietro a Corte]]). Nell' 849 AD il ''[[Principato di Salerno]]'' divenne indipendente da [[Benevento]], acquisendo i territori del [[Principato di Capua]], la [[Calabria]] settentrionale e la [[Puglia]] fino a [[Taranto]]. {{Quote|''Ludovico II, imperatore del Sacro Romano Impero, patrocinò l’accordo di divisione del Mezzogiorno longobardo in due principati distinti, con capitali Benevento e Salerno. Il testo dell’accordo, datato fra il 12 maggio 848 e il dicembre dell’849, richiama l’autorità imperiale......Siconolfo ottenne una serie di "loca et gastaldata", che disegnano un’area coincidente con la fascia tirrenica e meridionale dell’antico ducato beneventano, da Cosenza, Cassano e Taranto a Sud fino a Sora a Nord'' Treccani}} ==Dominio del meridione continentale d'Italia== A partire dal principe [[Siconolfo]], che si titolò come " Langobardorum gentis princeps", Salerno divenne la capitale di un principato che arrivò a controllare con [[Guaimario III di Salerno|Guaimatio III]] e [[Guaimario IV]] tutto il meridione continentale italiano. Infatti con il principe Guaimario III (che governò dal 994 al 1027) , [Salerno entrò in una fase di grande splendore, testimoniato dall'iscrizione ''Opulenta Salernum'' incisa sulle monete del tempo. A lui si deve la riduzione a vassalli del [[Principato di Salerno]] delle città di [[Amalfi]], [[Gaeta]] e [[Sorrento]] e l'annessione di molti dei possedimenti [[Impero bizantino|bizantini]] in [[Puglia]] e [[Calabria]]. ==Note== ================================================

{{Edificio religioso |Nome = Chiesa di San Massimo |Immagine = Palazzo San Massimo Chiesa Sconsacrata.jpg |Larghezza = |Didascalia = Interno della chiesa sconsacrata |SiglaStato = ITA |Regione = [[Campania]] |NomeComune = [[Salerno]] |Latitudine = 40.68031 |Longitudine = 14.75632 |Religione = Cattolica |Ordine = |AnnoConsacr = 868 AD |AnnoSconsacr = |Fondatore = [[Guaiferio di Salerno|Guaiferio I]] |Architetto = |StileArchitett = [[Architettura romanica|romanico]] |InizioCostr = IX secolo |FineCostr = |Demolizione = |Sito = }} La '''Chiesa di San Massimo''' di [[Salerno]] è una chiesa originariamente [[Langobardia Minor|longobarda]] che si trova nel [[Centro storico di Salerno|Centro Storico]] della città di San Matteo, sulle pendici iniziali del "Monte Bonadies" (dove sorge il [[Castello di Arechi|castello longobardo di Arechi]])[https://peppecarpentieri.wordpress.com/2021/06/09/salerno-nel-medioevo/#jp-carousel-15584 Mappa della Salerno altomedioevale, dove (cliccando doppio per ingrandire) col numero 24 si nota la Chiesa/Palazzo di San Massimo] . ==Storia== La chiesa si trova all'interno del [[Palazzo San Massimo]], costruito dal [[Principi di Salerno|Principe]] longobardo [[Guaiferio di Salerno|Guaiferio]] (861-888). Infatti quando il breve principato di [[Dauferio Balbo|Dauferio]] si concluse, il figlio Guaiferio vide confluire nelle proprie mani molti possedimenti e cercò di avviare una politica di accentramento patrimoniale. Benché quasi certamente non mancarono anche fattori di ordine religioso, quelli di natura pratica diedero probabilmente il via alla fondazione della chiesa di San MassimoVito Lore "La chiesa del principe. S. Massimo di Salerno nel quadro del Mezzogiorno longobardo" ([https://www.academia.edu/7494047/La_chiesa_del_principe_S_Massimo_di_Salerno_nel_quadro_del_Mezzogiorno_longobardo]). Nel [[Codex diplomaticus Cavensis]]{{Cita web|url=https://www.monasterium.net/mom/CodexDiplomaticusCavensis/0064/charter|titolo=Documento CodexDiplomaticusCavensis{{!}}0064 - Monasterium.net|accesso=29 marzo 2022}} si trova l'atto di fondazione della chiesa, risalente all'[[868]], voluta dallo stesso Guaiferio. In esso Guaifero dichiarava di aver interamente costruito la Chiesa di San Massimo proprio accanto alla sua casa. La sua famiglia longobarda poteva accedervi direttamente attraverso un andito coperto da volta a botte, probabilmente ancora oggi esistente e le era riservata una porta secondaria, che dava in un ambiente sottostante, dove era edificato (probabilmente) un altare in onore di [[San Bartolomeo]]. La Chiesa fu abbellita nel secolo successivo e divenne parte del "Monastero di San Massimo", adiacente al ristrutturato ed ingrandito [[Palazzo San Massimo]]. {{Quote|''Situato nel quartiere denominato “Plaium Montis”, alle pendici del colle sul quale sorge il Castello Arechi, a due passi dal Giardino della Minerva e dal Duomo, nel cuore dunque della città storica, il Palazzo ingloba l’omonima chiesa, sorta nell’868 d.C per volontà del principe longobardo Guaiferio. La chiesa di San Massimo presenta ancora il pavimento originale in opus sectile marmoreo di magnifica fattura......Gli innumerevoli passaggi di proprietà, soprattutto tra il XVII e il XVIII secolo, sono testimoniati dai principali elementi di pregio artistico-architettonico della fabbrica, quali il portale d’ingresso, le volte a gavetta incannucciate con i suggestivi trompe-l’oeil ed i solai lignei al piano nobile, coperti all’intradosso da incartate splendidamente decorate a guazzo con paesaggi costieri.''Raffaele Pinto[https://www.bing.com/images/search?q=chiesa+di+san+massimo+a+salerno&view=detailv2&id=B93CB1E0EAF23A69A0B61DBC49D1F02769680D1A&selectedindex=0&thid=OIP.I6q1xRbfiX-4z1pgY3UIDwHaE8&ck=6708D24E1BD0320484EE6EEDCA06F868&ccid=I6q1xRbf&exph=683&expw=1024&idpbck=1&form=IQFRBA&ajaxhist=0&ajaxserp=0&simid=608021710533447993&mediaurl=https%3A%2F%2Fwww.classicult.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2020%2F01%2FPicture4-1024x683.jpg&cdnurl=https%3A%2F%2Fth.bing.com%2Fth%2Fid%2FR.23aab5c516df897fb8cf5a606375080f%3Frik%3DGg1oaSfw0Um8HQ%26pid%3DImgRaw%26r%3D0&vt=0 Foto ed articolo sulla Chiesa di San Massimo]}} La chiesa con il palazzo ed il monastero passarono di proprieta in varie occasioni nei secoli successivi, a cominciare da quando -intorno al 1100- furono date ai [[Benedettini]] dell'Abbazia di Cava, ma sprofondarono in uno stato di progressivo abbandono e la chiesa originale fu sconsacrata. Solo nel primo [[Settecento]] la chiesa fu completamente ristrutturata come nuova ==Caratteristiche== [[File:Sanmassimopavimento.jpg|thumb|right|300px|Pietra del pavimento nell'originale chiesa longobarda di San Massimo]] Sono poche le vestigia che rerstano dell'originale chiesa longobarda. I resti della chiesa ristrutturata che vediamo oggi sono a navata semplice con pavimento lastricato con decorazioni. {{Quote|''....la chiesa del principe Guaiferio, essa aveva, naturalmente a occidente secondo l’uso longobardo, l’atrio e il campanile che troviamo citati nel giugno 1087 in relazione ad un diritto di sepoltura e, ovviamente, verso oriente l’abside, dietro al quale, fra l’area dell’edificio di culto e beni che lo stesso principe Guaiferio gli aveva assegnato quale dotazione, correva un muro; ma aveva anche un atrio meridionale, ove vi era un arco sotto il quale era dipinto il volto della Vergine..... verso settentrione, invece, confinava con un andito oltre il quale erano siti altri suoi beni. È appena il caso di rilevare che la chiesa che appare da questa documentazione nulla ha in comune con quella che attualmente si vede all’interno di Palazzo San Massimo, se non per il fatto, forse, di insistere sul suo sito ampliato all’atrio meridionale.'' Vincenzo De Simone[https://digilander.libero.it/salernostoria/sanmassimo.htm Foto e saggio sulla Chiesa longobarda di San Massimo]<}} Fu creata una nuova chiesa sul finire del [[Seicento]] con pavimenti maiolicati, con stucchi, un altare di stucco, e varie tele. Nel secolo successivo la navata principale venne coperta da "un soffitto piano a tavole dipinte, con un altare alla Paolina di stucco ed una statua di S.Michele e con una tribuna posteriore"Beni Culturali:Chiesa di San Massimo ([https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1500025138]). Nel primo [[Novecento]] il solaio della nuova chiesa fu sostituito con uno metallico. Nel 2021-2023 sono state fatte notevoli ristrutturazioni nel Palazzo San Massimo[https://www.salernotoday.it/cronaca/lavori-palazzo-san-massimo-30-luglio-2021.html Ristrutturazione facciata] e si spera di ottenere autorizzazioni a scavare sotto la chiesa originale longobarda, nella speranza di rinvenire una cripta contenente i resti di San Bartolomeo e dei possibili dipinti longobardi[https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1500025138 Speranza per Palazzo S. Massimo]. ==Note== ==Vedasi anche== * [[Palazzo San Massimo]] * [[Chiesa di Santa Maria de Lama]] * [[Chiesa di Sant'Andrea de Lavina]] * [[Chiese di Salerno]] {{Chiese di Salerno}} {{portale|architettura|cattolicesimo|Salerno}} [[Categoria:Chiese di Salerno]] [[Categoria:Salerno]] =====================================================

{{Edificio religioso |Nome = Chiesa di Sant'Eustachio Martire |Immagine = |Larghezza = |Didascalia = |SiglaStato = ITA |Regione = Campania |NomeComune = Salerno |Religione = Cattolica |DedicatoA = [[Sant'Eustachio]] |Ordine = |AnnoConsacr = |AnnoSconsacr = |Fondatore = |Architetto = |StileArchitett = Longobardo originariamente |InizioCostr = X secolo |FineCostr = |Demolizione = |Sito = }} La '''Chiesa di Sant'Eustachio Martire''' si trova nel quartiere [[Pastena (Salerno)|Pastena]] di [[Salerno]]. Fondata da nobili [[longobardi]] nel 990 AD, attraverso i secoli ha subito modificazioni fino ai nostri giorni. ==Storia== La chiesa ha origini [[Langobardia Minor|longobarde]], come altre come la Chiesa di San Felice in Felline nella zona immediatamente a sud della città "ippocratica" di San Matteo, dove l'aristocrazia longobarda del [[Principato di Salerno]] seppelliva i propri morti. {{Quote|''Nel 985 nella località Liciniano è offerto un terreno "in ecclesia sancti Eustasii". Nel 990 i principi Giovanni e Sichelgaita costituiscono in dote per la chiesa di S. Maria de Domno da loro fondata una corte in Liciniano "cum meditate ipsa ecclesia sancti Eustasi" ......In un documento del 1404 è indicata a Pastena, "forie Salerni" la "plebs sancti Austasii"''BEWEB-Beni Architettonici.}} Nel [[Settecento]] la chiesa di Sant'Eustachio martire (da non confondere con quella [[Chiesa di Sant'Eustachio (Salerno)|omonima situata a Brignano]]) fu ristrutturata completamente, assumendo l'aspetto attuale[https://catalogo.cultura.gov.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1500047488#lg=1&slide=0 Aspetto attuale della chiesa di Sant'Eustachio Martire]. ==Caratteristiche== L'attuale chiesa ha una struttura rettangolare semplice. {{Quote|'' Edificio a forma rettangolare. Strutture verticali in muratura di pietra intonacata e dipinta. Tetto a due falde con ossatura lignea. Navata coperta con volta a botte e presbiterio con cupola ribassata su pianta rettangolare. Pavimento in battuto di cemento.''}} Nelle mura interne si ritrovano decorazioni con stucchi ed affreschi oltre a vari arredi sacri. All'interno si trova una statua benedetta della [[Madonna di Fatima]], che viene portata in processione regolarmente ogni anno.[https://www.salernotoday.it/cronaca/madonna-fatima-ospedale-ruggi-parrocchia-sant-eustachio.html Processione dalla Chiesa] ==Note== ==Vedasi anche== * [[Chiese di Salerno]] * [[Chiesa di Sant'Eustachio (Salerno)]] * [[Chiesa di San Felice in Felline]] {{Chiese di Salerno}} {{Portale|architettura|Salerno}} [[Categoria:Salerno]] [[Categoria:Chiese di Salerno]] ================================================

{{Edificio religioso |Nome = Chiesa di Sant'Eustachio |Immagine = |Larghezza = |Didascalia = |SiglaStato = ITA |Regione = Campania |NomeComune = Salerno |Religione = Cattolica |DedicatoA = |Ordine = |AnnoConsacr = |AnnoSconsacr = |Fondatore = |Architetto = |StileArchitett = Longobardo originariamente |InizioCostr = X secolo |FineCostr = |Demolizione = |Sito = }} La '''Chiesa di Sant'Eustachio''' si trova nel quartiere "Brignano" del comune di [[Salerno]]. Nelle vicinanze dei ruderi dell'originale chiesetta medioevale di Brignano si alza attualmente la nuova chiesa di Sant'Eustachio dal 1966[https://www.facebook.com/photo/?fbid=100968064867371&set=ecnf.100066621714591 Foto della facciata moderna]. == Storia == La Chiesa fu fondata prima dell'anno mille da nobili [[Langobardia Minor|Longobardi]] del [[Principato di Salerno]] nella zona collinare a sud-est della Salerno medioevale (come la [[Chiesa di San Felice in Felline]]). Durante questi anni longobardi, precisamente nel 1005, si ha notizia della presenza in zona della chiesetta di Sant'[[Eustachio (martire)|Eustachio Martire]] (da non confondere con l’altra chiesa posta nel quartiere salernitano Sant’Eustachio di [[Mercatello]]), principale luogo sacro per tutto il medioevo a Brignano. {{Quote|''L’immobile sacro, realizzato, come tutte le chiese longobarde della zona, lungo un asse est-ovest, presenta un portale d’ingresso rivolto ad ovest. Il tetto della chiesa è crollato a seguito del terremoto del novembre 1980, così come quello della sagrestia, posta lateralmente, e tutta la parte absidale della chiesa....La chiesetta ha una navata unica.'' D. Magliano}} Successivamente nel 1338 la chiesetta veniva chiamata col nome di “Sancti Eustachii de Briniano”. Dopo secoli di poco uso, la chiesa si riduceva in pessime condizioni (anche per colpa dei terremoti del [[Seicento]] a Salerno). Restaurata ed un poco ampliata dal 1899 al 1903, dopo un recupero del tetto semidistrutto, la chiesa di Sant'Eustachio fu riaperta al culto il 9 novembre 1917. Purtroppo durante lo sbarco di Salerno degli Alleati nel settembre 1943 la chiesa fu molto danneggiata e si decise di farne una nuova nelle vicinanze attigue. Fatto che avvenne nel 1966. {{Quote|''La chiesetta originale fu sostituita già nel 1963. Una nuova progettazione, firmata Ing. Giuseppe Postiglione, della nuova chiesa più grande e più vicina al quartiere industriale di Brignano Inferiore, veniva inaugurata il 17 settembre del 1966'' Daniele Magliano}} Attualmente la chiesetta originale giace in uno stato di quasi completo abbandono[https://www.salernonews24.com/cultura-urbana/risorge-la-chiesa-longobarda-di-saneustachio-da-un-oblio-che-dura-da-oltre-sessantanni/ Resti -con foto- dellla originale chiesa di Sant'Eustachio a Brignano]. ==Caratteristiche== La Chiesa di Sant'Eustachio originale conteneva al suo interno 3 altari: il maggiore con la custodia del Santissimo Sacramento, uno entrando a destra dell’Addolorata e l’altro sulla sinistra dedicato al Santo Patrono S. Eustachio. Il pavimento originale era in cotto ed aveva un’organo, presumibilmente posto sopra l’ingresso della chiesetta, che era in stile Ottocentesco. L'attuale chiesa innalzata nel 1966 ha tre navate ed è in stile moderno contemporaneo: {{Quote|''La chiesa (moderna) è a pianta rettangolare, a tre navate, con nicchie e altari laterali e abside semi-ottagonale. Presenta struttura principale in calcestruzzo armato. Le pareti interne si presentano intonacate e tinteggiate in colori chiari oltre che impreziosite con fregi dorati, stucchi e modanature. La pavimentazione dell'aula e del presbiterio è in mattonelle di marmo. La facciata principale è costituita, centralmente, dal portale d'ingresso in legno massiccio sormontato da una pensilina sorretta dal pronao colonnato'' BeWeb-Beni Architettonici }} La chiesa moderna ha una capienza per circa 2000 fedeli e serve la zona industriale di Brignano con un sagrato ingrandito nel 2014[https://www.salernotoday.it/cronaca/sindaco-de-luca-vescovo-moretti-insieme-inaugurazione-chiesa-brignano.html. Nuovo sagrato per la chiesa di Brignano]. == Note == == Voci correlate == * [[Chiese di Salerno]] * [[Chiesa di San Felice in Felline]] * [[Chiesa di Sant'Eustachio Martire (Salerno)]] == Altri progetti == {{interprogetto}} == Collegamenti esterni == * {{Collegamenti esterni}} {{Chiese di Salerno}} {{Portale|architettura|Salerno}} [[Categoria:Chiese di Salerno|Eustachio]] [[Categoria:Chiese dell'arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno|Eustachio Martire]] =======================================================================================

{{Edificio religioso |Nome = Chiesa di Santa Maria a Mare |Immagine = |Larghezza = |Didascalia = |SiglaStato = ITA |Regione = Campania |NomeComune = Salerno |Religione = Cattolica |DedicatoA = [[Vergine Maria|Santa Maria]] |Ordine = |AnnoConsacr = |AnnoSconsacr = |Fondatore = |Architetto = |StileArchitett = [[Architettura moderna]] |InizioCostr = [[XIV secolo]] |FineCostr = |Demolizione = }} La '''Chiesa di Santa Maria a Mare''' è una [[chiesa (architettura)|chiesa]] [[Chiesa cattolica|cattolica]] di [[Salerno]], nel quartiere orientale di [[Mercatello (Salerno)|Mercatello]].[https://www.orarimesse.net/santa-maria-a-mare-salerno/ Foto della chiesa di S. Maria a mare] == Storia == La chiesa originariamente risale al [[Trecento]]. Alcuni studiosi De Simone e D'Ambrosio credono essa possa essere anteriore, perché vicina e collegata alle chiese edificate dai [[Longobardi]] per seppellirvi i familiari nell'area di Sala Abbagnano e Giovi (come la [[Chiesa di San Nicola del Pumpolo]] e la [[Chiesa di San Felice in Felline]]). Nel [[XVII secolo]] rimase semidistrutta e abbandonata a causa di alcuni [[terremoti]], specialmente [[Terremoto dell'Irpinia e Basilicata del 1694|quello del 1694]]. Nel secolo successivo fu ristrutturata e riutilizzata. {{Quote|''Già esistente nel 1309 con il rettore Giovanni Aversano, ricordata poi nel 1338 con la stessa denominazione...In seguito, probabilmente nel XVIII secolo è stata ristrutturata assumendo l'attuale configurazione''[http://cir.campania.beniculturali.it/salerno/visite-tematiche/galleria-di-immagini/A00047524 Ministero Beni Culturali: Salerno]}} La chiesa attuale è di recente edificazione. Il sagrato è stato rifatto ed abbellito nel 2020[https://www.salernonotizie.it/2020/11/13/salerno-consegnato-il-sagrato-della-chiesa-di-santa-maria-a-mare-a-mercatello/ Sagratro]. == Caratteristiche == L'edificio attualmente ha forma rettangolare, con strutture verticali in muratura in tufo intonacata e dipinta. Ha una volta a botte con unghie sulla navata ed una cupola emisferica sul presbiterio. Il pavimento è in marmo a lastre rettangolari ed in marmette di graniglia. La facciata esterna, di aspetto moderno, ha un ordine di lesene su parete intonacata. All'interno vi sono stucchi decorativi (in particolare sopra l'altare). == Voci correlate == * [[Chiese di Salerno]] * [[Salerno]] == Note == {{Chiese di Salerno}} {{portale|cattolicesimo|architettura|Salerno}} [[Categoria:Chiese di Salerno]] [[Categoria:Chiese dell'arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno]] ===================================================================

{{Opera urbana |nome = Corso Giuseppe Garibaldi |nomiPrecedenti = |altriNomi = |immagine = Casamiasalerno.jpg |didascalia = Il Corso Garibaldi di notte |siglaStato = ITA |città = Salerno |circoscrizione = |distretto = |quartiere = |cap = |tipo = |lunghezza = |superficie = |pavimentazione = |intitolazione = [[Giuseppe Garibaldi]] |progettista = |costruzione = |demolizione = |inizio = |fine = |intersezioni = |interesse = |trasporti = |linkMappa = |nomeMappa = |didascaliaMappa = |latDecimale = |longDecimale = |coordinate regione = }} Il '''Corso Giuseppe Garibaldi''' di [[Salerno]] si trova nel centro cittadino, tra il [[Lungomare Trieste]] ed il [[Corso Vittorio Emanuele II (Salerno)|Corso Vittorio Emanuele II]]. Ha una lunghezza di circa due chilometri ed e' stato definito dal poeta [[Alfonso Gatto]] come "''la strada salernitana con respiro da grande urbe''" ==Storia== [[File:Corso Guiseppe Garibaldi Salerno.jpg|thumb|200px|left|Il Corso Garibaldi vicino alla stazione ferroviaria]] Negli ultimi decenni dell'[[XIX secolo|Ottocento]] il Corso Garibaldi era la strada cittadina che ora si chiama "Via Roma", che iniziava davanti al [[Teatro Verdi (Salerno)|Teatro Verdi]] e finiva all'incirca dove esisteva il Palazzo delle Poste[https://www.salernonews24.com/cultura-urbana/pianta-guida-della-citta-di-salerno-del-1903-la-prima-rappresentazione-ben-dettagliata-della-citta/ Salerno nel 1903]. Dagli anni venti del [[XX secolo|Novecento]] il corso ha assunto il tracciato attuale (che inizia a fianco della "Porta Nova" nelle [[Mura di Salerno|mura medioevali del Centro storico]] per finire vicino alla stazione ferroviaria), venendo abbellito da alcune statue e da vegetazione alberata. [[File:Giovanni Amendola statua.JPG|thumb|100px|right|Statua di Giovanni Amendola]] [[File:Statua della libertà salerno.jpg|thumb|right|100px|Statua della Liberta']] [[File:Salerno - Corso Garibaldi.jpg|thumb|right|200px|Il corso nel 1911, quando era l'attuale Via Roma vicino al Municipio cittadino]] La statua maggiormente famosa è quella davanti all'ex-Tribunale di Salerno, dedicata a [[Giovanni Amendola]]. Un'altra statua rinomata è quella della Libertà, localizzata a poche centinaia di metri di distanza. Sul corso, vicino all'inizio del [[Centro storico di Salerno]], si trova la [[Chiesa di San Pietro in Camerellis]], davanti ad un piccolo larghetto omonimo[https://fondoambiente.it/luoghi/larghetto-di-san-pietro-in-camerellis?ldc Foto del larghetto di S.Pietro in Camerellis nel Corso Garibaldi]. Il Corso Garibaldi rappresenta uno dei tre assi paralleli lungo i quali si è sviluppata l'espansione della città. Infatti, insieme al Lungomare Trieste e a Via dei Mercanti-Corso Vittorio Emanuele, collega i due margini di Salerno centrale, dal centro storico alla stazione ferroviaria. I due palazzi di maggiore importanza sul corso sono il [[Palazzo delle Poste e Telegrafi (Salerno)|Palazzo delle Poste]] ed il [[Palazzo di Giustizia (Salerno)|Palazzo di Giustizia]] (le loro attività sono state spostate altrove recentemente). Comunque altri palazzi notevoli si affacciano sul Corso ed anche sul Lungomare Trieste, come il [[Palazzo Santoro]] ed il [[Palazzo D'Ambrosio]]. Inoltre la scuola elementare "Vicinanza" ha l'entrata principale sul corso, a fianco dell'ex-Tribunale. ==Note== ==Voci correlate== * [[Corso Vittorio Emanuele II (Salerno)]] * [[Lungomare Trieste]] * [[Stazione ferroviaria di Salerno]] * [[Chiesa di San Pietro in Camerellis]] * [[Centro storico di Salerno]] * [[Palazzo delle Poste e Telegrafi (Salerno)]] * [[Palazzo di Giustizia (Salerno)]] * [[Palazzo Santoro]] * [[Palazzo D'Ambrosio]] == Altri progetti == {{interprogetto}} {{Portale|Salerno}} {{Palazzi di Salerno|Architetture di Salerno}} [[Categoria:Strade di Salerno]] ==================================================