Casa Savoia e Cavour, ancora nel periodo di formazione del Regno d'Italia, avevano sempre considerato con ansiosa attenzione il problema dell'espansione coloniale. Il Re e il Ministro, sebbene in quel tempo fossero presi dalla preparazione della seconda Guerra d'Indipendenza, avrebbero certamente condotto l'Italia in Africa. Ma la morte repentina del Cavour (6 giugno 1861) procrastinò l'evento. L'Impresa comunque fu portata a compimento nei decenni successivi all'Unificazione italiana. Infatti l'espansione coloniale, iniziata in Eritrea e Somalia, porto' successivamente alla conquista della Libia e nel 1936 a quella dell'Etiopia colla proclamazione dell'Impero. Del resto nel 1940 l'Impero coloniale italiano era praticamente africano, in quanto l'unica colonia in Asia era la piccola concessione di Tientsin in Cina mentre il Dodecaneso italiano in Grecia non era considerato possedimento coloniale.
Casterosso (Dodecaneso) riconquistasta nel 1941 |
Questo impero era costituito da quattro colonie italiane in Africa: Eritrea, Somalia, Etiopia e Libia. Le prime tre formavano la cosiddetta "Africa Orientale Italiana" nel corno d'Africa (vedere cartina sottostante)
L ' ERITREA
Il 5 febbraio 1885 il colonnello Tancredi Saletta sbarcò a Massàua sostituendo la bandiera italiana a quella egizìana. Nel dicembre il generale Genè occupava Saati a 25 km. da Massàua. A Dogali il 26 gennaio 1887, cinquecento nostri soldati, comandati dal colonnello Tommaso De Cristoforis, da Casale Monferrato, si trovavano di fronte a 5000 armati abissini: dopo una lotta disperata, la morte gloriosa sul posto concluse la loro eroica giornata. L'Italia allestì una spedìzíone per vendicare i Caduti. Il Negus Giovanni IV morì in combattimento contro i Dervisci, popolo proveniente dal Sudàn egiziano (1889). Il genero Menelik riuscì a farsi nominare Negus Neghestí, che vuol dire "Re dei Re". Nello stesso anno l'Italia e l'Etiòpia firmarono il Trattato di Uccialli (villaggio presso Màgdala). Nel Trattato era contemplata anche la occupazione di Chèren e dell'Asmara (2 maggio 1889). Francesco Crispi il 1° gennaio 1890, con decreto reale, dava il nome di "Colonia Erìtrea" a tutti i territori occupati dall'Italia fra il Mar Rosso e il Sudàn. L'Eritrea fu detta anche "Colonia primigenia" per essere stata la prima colonia dell'Italia. Menelik non volle più riconoscere il patto che ammetteva il protettorato dell'Italia sull'Abissìnia, e dopo un po' di tempo incominciarono le ostilità. I nostri sconfiggono ripetutamente i Dervisci. Viene occupata Adigràt e successivamente Adua, Macallè, Amba Alagi e tutto il Tigrai. Menelik si mise alla testa di 120 mila armati. Superava la nostra resistenza ad Amba Alagi, affidata al maggiore Pietro Toselli, assediava il forte di Macallè, presidiato dal maggiore Giuseppe Galliano, e scendeva nella conca di Adua. Il generale Baratieri decideva di dare battaglia al nemico, e con 18 mila uomini, il 1° marzo, nella zona di Amba Garima affrontava un esercito dieci volte superiore e forte di quarantadue cannoni. Il valore e l'eroismo dei nostri a nulla valsero. Avemmo 6000 morti; da parte abissina quasi 12 mila. Vi trovarono morte gloriosa 268 ufficiali. Parecchi Italiani vennero fatti prigionieri ed orrendamente mutilati (tutti gli ascari eritrei prigionieri furono mutilati) Come diretta conseguenza, Francesco Crispi dovette abbandonare il Governo. Al posto del generale Baratieri venne mandato il generale Antonio Baldissera, ma purtroppo con l’incarico di metter semplicemente ordine, non di vendicare i nostri Caduti. La terra eritrea produceva in buona quantità dura e sorgo, orzo, frumento e granoturco. Il frumento dava più di 100 mila quintali all'anno negli anni trenta. Discreto era il raccolto di legumi, lino, semi oleosi, agrumi, banane, papàie, dàtteri, caffè, tabacco. Si coltivavano in misura sempre più larga il tabacco, il caffè e il cotone. La cera e il miele si traevano dall'allevamento abbondante delle api locali. Il sottosuolo non ra ancora stato sufficientemente sondatonel 1940. Recentemente sono state messe in efficienza miniere d'oro che davano circa kg. 500 di metallo fino all'anno. Si trovavano anche minerali di ferro, rame, potàssio, mica e pietre varie da costruzione. Importante era la produzione del sale. Da Massàua e da Assab se ne esportavano circa 300 000 quintali verso mercati asiatici. Fra le industrie, allo stato nascente, erano da ricordare: i mulini, le distillerie, le fabbriche di bottoni di avorio vegetale e le botteghe dell'artigianato indigeno per lavori di pelli, di stuoie e dei metalli. All'incremento dèl commercio contrìbuiva sempre più la sistemazíone della rete stradale. Nel 1940 esisteva la linea ferroviaria Massaua-Asmara-Cherèn-Bìscia (km. 334) a scartamento ridotto, la teleférica Massàua-Decamerè e la camionabile Assab-Dessiè. Comode strade automobilistiche collegavano i principali centri. Assab stava avviandosi a diventare un centro importante dopo l'apertura della strada camionabile per Dessiè, condotta a compimento in pochi mesi. Nel suo porto il movimento delle merci in partenza aveva superato quello di Massàua nel 1940. Infine va ricordato che la capitale Asmara aveva una popolazione di 98.000 abitanti nel 1940, dei quali 53.000 erano Italiani, secondo il censimento del 1939. Questo fatto rese Asmara la principale "città italiana" nell'Africa Orientale Italiana. In tutta l'Eritrea vi erano 75.000 Italiani in quell'ultimo anno di pace prima della seconda guerra mondiale. Va ricordato che nell'estate 1940 fu tolta al Sudan britannico ed annessa per alcuni mesi all'Eritrea italiana la citta' di Kassala, che ebbe per sindaco l'ascaro Awate (lo stesso che negli anni sessanta inizio' la guerra d'indipendenza eritrea dall'Etiopia)
LA SOMALIA
La Terra dei Sòmali si stendeva nell'estremo lembo orientale dell'Africa orientale e precisamente dallo Stretto di Bab el Màndeb ad oltre le foci del Giuba. La grande regione si considerava divisa tra la Frància, la Gran Bretagna e l'Italia. La zona costiera, cosparsa di poveri villaggi e di piccoli porti, era ritenuta una terra inospitale per il clima secco e caldissimo, tormentato da vènti impetuosi detti monsoni, per la mancanza di vegetazione, e soprattutto per la popolazione mantenutasi selvaggia e sanguinaria. Era conosciuta dai Romani per il commercio dei profumi. Le prime occupazioni italiane risalivano al 1885: poche settimane dopo l'occupazione di Massàua il comandante della R. Nave “Il Barbarigo” ebbe l'ordine di esplorare le foci del Giuba e di avviare accordi commerciali col Sultano del luogo. Nel 1891 il nostro Console a Zanzibàr, Vincenzo Filonardi, occupava il villaggio di Ataleh (che subito dopo prese il nome di Itala) e nel 1892 otteneva in affitto per 25 anni altre località del Benàdir. Il capitano Antonio Cecchi, Console d'Italia a Zanzibar, pensando di congiungere l'Eritrea con questi possessi sòmali, organizzò un piano di penetrazione pacifica e si recò per accordi dal Sultano dì Gheledi. Ma aggredito nella boscaglia fu ucciso con ufficiali e marinai italiani della R. Nave "Volturno" il 2 novembre 1896. Questi fatti incitarono i vari Governi italiani ad affrontare organicamente il problema dell'Italia in Africa. Cominciò la sistemazione della Colonia Italiana del Benadir. Subito l’Italia provvide alla soppressione della schiavitù, diffusissima fra i Sòmali. Ciò destò grande malumore e irritò un Santone islamita, detto il Mullah, il quale iniziò combattimenti contro la Gran Bretagna e contro l'Italia. La lotta, a lunghi intervalli, continuò per parecchi anni, dal 1900 al 1920. Le nostre truppe furono impegnate anche contro gli Abissini i quali, incitati dal Negus Menelik, scendevano in Somàlia. Intanto, noi estendevamo anche i nostri domini nella Somàlia ad Oriente fino al medio Giuba. L'opera di colonizzazione e di bonifica s'intensificò. La denominazione di Benàdir fu assorbita da quella più generica di Somalia Italiana. Con la Convenzione del 15 luglio 1924 la zona dell'Oltregiuba ci veniva, più che ceduta, restituita dalla Gran Bretagna, come parzialissimo compenso coloniale per gli enormi aumenti di territori e di popolazioni conseguiti dalla Gran Bretagna stessa dopo la Guerra del 1914-18. Una energica azione condotta dal Governo italiano dal 1925 al 1927, per mezzo del governatore Cesare Maria De Vecchi, Quadrumviro della Marcia su Roma, ampliò e consolidò i nostri possessi permettendoci di procedere con maggior rapidità allo sviluppo delle comunicazioni e delle opere di bonifica. La Somalia era un Paese tropicale ed equatoriale fuori della zona delle grandi piogge. La popolazione indigena si dedicava alla pastorizia. L'agricoltura intensiva era possibile nel bassopiano. Le boscaglie settentrionali offrivano gomma e incenso. Vennero estese ottime coltivazioni di cotone, canna da zucchero, banani, sèsamo, aràchidi, ricino, tabacco, ecc. Non mancavano agrumi e ortaggi. Nei nuovi territori esistevano buoni pascoli, folte boscaglie e piantagioni di caffè. In pochi anni si bonificò e si fece fruttare un esteso territorio presso lo Uebi Scebeli con strade, canali, case e villaggì; uno di essi, che divenne una vera cittadina, fu chiamato "Villabruzzi" (o "Villaggio Duca degli Abruzzi"). A Villabruzzi esistevano nel 1940: uno zuccherificio, un oleificio, una distilleria di alcole. A Mogadìscio vi erano fabbriche di sapone, di acque gassate, di ghiaccio e una importante centrale termoelettrica. A Brava si conciavano pelli. A Chisimàìo vi erano anche officine meccaniche e falegnamerie. Le piccole industrie domestiche riguardavano la preparazione del burro, l'essiccazione delle pelli, la fabbricazione delle stuoie. Il più importante scalo marittimo era quello di Mogadìscio. Le comunicazioni terrestri comprendevano la linea ferroviaria Mogadiscio-Villabruzzi (km. 113). Le poche strade rotabili che conducevano dai porti all'interno, sono state migliorate negli anni trenta: grazie al lavoro italiano nel 1940 si andava con automezzi su strada asfaltata da Mogadiscio in Somalia fino a Massàua in Eritrea.Mogadiscio aveva quasi 20000 italiani residenti nel 1940, su un totale di oltre 60000 abitanti.Tutta la Somalia in quell'anno aveva oltre 25000 italiani residenti come coloni. Va ricordato infine che colla conquista della Somalia britannica nell'estate 1940, fu ampliata la Somalia italiana fino a comprendere praticamente tutti i Somali all'infuori dei pochissimi nella piccola Somalia francese: si realizzava in questo modo la "Grande Somalia" anelata dai somali.
LA LIBIA
A poche miglia dalla Sicìlia c'era un territorio mezzo abbandonato e poco popolato: la Tripolitània e la Cirenàica. Tale territorio, poco pericoloso in mano alla vecchia Turchia, poteva divenire pericolosissimo nelle mani di una Potenza europea avversa all'Italia. Un tempo i Greci, a levante, e più tardi i Romani, a ponente, lo avevano colonizzato; in seguito Genovesi, Pisani, Siciliani avevano esercitato un certo dominio su quelle terre. Al principio dell'Ottocento alcuni Italiani volevano ritornarvi, ma i tempi non erano maturi. Intanto la Frància, già padrona dell'Algeria, si era presa nel 1881 la Tunisia subito dopo che i nostri coloni l'avevano valorizzata con il lavoro. Dal 1882 la Gran Bretagna comandava in Egitto. Se non avessimo occupato la Lìbia ci saremmo un giorno rinchiusi nel Mediterràneo, secondo i Savoia. Bisognava decidersi, e il Governo, che allora faceva capo a Giovanni Giolitti, preparò la conquista della "Quarta sponda". Il Sultano di Turcha si oppose: allora il 29 settembre 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia. La nostra Marina con due squadre, al comando degli ammiragli Aubry e Faravelli, bombardò la costa lìbica e fece occupare Trìpoli, Bengasi, Derna, Tòbruk dal nostri marinai. Lo sbarco a Trìpoli fu effettuato dal capitano di vascello Umberto Cagni con i «Garibaldini del mare». Dopo qualche giorno sbarcava l'esercito comandato dal generale Carlo Caneva, nato nel 1845 a Tarcento, nel Fríùlì. Egli affrontò le truppe turche ed arabe in accaniti e sanguinosi combattimenti. A capo dell'esercito nemico si trovava un valente ufficiale turco, Enver-Bey, che riceveva armi ed aiuti da paesi vicini e lontani fra cui la Gran Bretagna e la Francia. L'Italia desiderava finir presto la guerra. Occorreva quindi colpire la Turchia in casa propria. Il 4 maggio 1912, il generale Giovanni Ameglio sbarcava sulla spiaggia di Calitea, nell'isola di Rodì, accerchiava le truppe turche e s'impossessava dell'isola. Pochi giorni dopo occupava anche l'arcipelago del Dodecàneso, dove castelli e porti ricordavano il dominio glorioso di Venèzia. Nella notte dal 18 al 19 luglio il capitano di vascello Enrico Millo, al comando di cinque torpediniere, si avanzava, con incredibile audacìa, nel fortificatissimo stretto turco dei Dardanelli. Dopo un buon percorso le navi s'impigliarono nelle funi d’acciaio poste dai Turchi sott'acquá. Scoperte dai riflettori nemici, furono fatte segno ad un violentissimo bombardamento. Il Millo, con grande sangue freddo, riusciva a far liberare le navi incagliate e a ricondurle sane e sálve alla base. In tutta la Guerra del 1914-18, nè la Marina britannica né la francese seppero compiere un'impresa di simile ardimento. La nostra superiorità sì fece sentire dappertutto. La Turchia si indusse a trattare la pace che fu firmata a Ouchy presso Losanna (Svìzzera) il 18 ottobre 1912. Nel 1916, mentre eravamo impegnati nella Grande Guerra, si ridestò nella popolazione libica, aiutata da nostri nemici, un certo movimento avverso. Dopo, il movimento fu aiutato anche dagli Alleati. Giunto Mussolini al potere, intuì il pericolo e con energia provvide a riconquistare quasi tutto il territorìo. Nel 1925 si definirono i confini con l'Egitto e si riuscí a comprendere l'oasi di Giarabùb, ma non la baia di Sollum. In seguito tutto il territorio, con il Fezzàn e Cufra, fu effettivamente occupato e sottomesso. Seguì la pacificazione della Cirenàica per opera del generale Rodolfo Graziani, ottenuta con notevoli difficolta'. S'istituirono scuole di ogni grado e scuole professionali appositamente per gli Arabi. Si provvide alla difesa della salute pubblica rinnovando quartieri vecchi e insalubri. Si sviluppò la viabilità. Furono ampliati i porti di Trìpoli, di Bengasi e di Derna. Cure particolari si ebbero per i restauri degli antichì edifici costruiti dai Romani. La zona coltivata e coltivabile era solamente nella fascia costiera. L'attività degl'indigeni, fino a poco tempo fa, si limitava a pochi campi detti giardini, ma ora essi seguivano i sistemi introdotti dalla colonizzazione dei coloni italiani. Le colture che in passato si limitavano alla palma del dáttero, all’orzo, all'olivo ed a pochi alberi da frutto, ora andavano estendendosi per l’aumento progressivo delle superficie irrigue. Notevole e in costante aumento erano i prodotti dei cereali (orzo e grano di ottima qualità) dell'olivo, della vite, degli agrumi, dei mandorli, di altre frutta, di ortaggi, ecc. Sul Gebèl occidentale andava diffondendosi la coltivazione di tabacchi. Discreto posto aveva il rícino per l'estrazione dell'olío e promettenti erano gli esperimenti per piantagioni di gelso. Il trasferimento di tante famiglie rurali metropolitane in queste terre fu un avvenimento unico nella storia coloniale. Per esse furono fabbricate case coloniche moderne, costituenti villaggi che comprendevano la chiesa, la scuola, l'ambulatorio, l'ufficio postale e botteghe varie. Il nome dei nuovi centri di colonizzazione era il seguente. Nella Lìbia occidentale: Ivo Oliveti, Michele Bianchi, Tùllio Giordani, Breviglieri, Littoriano, Francesco Crispi, Màrio Gioda, Pietro Micca, Enrico Corradini, Don Enrico Tazzoli. Nella Lìbia orientale: Giovanni Berta, Beda Littòrio, Umberto Maddalena, Francesco Baracca, Gabriele d'Annùnzio, Guglielmo Oberdan, Césare Battisti, Giuseppe Garibaldi, Guglielmo Marconi, Goffredo Mameli, Fàbio Filzi, Luigi Razza, Nazàrio Sàuro, Luigi di Savòia. In altri terreni, conquistati alla steppa, sono sorti villaggi per gl'indigeni (nella Lìbia occidentale: Fiorente e Deliziosa; nella orientale: Alba, Fiorita, Nuova, Risorta, Verde, Vittoriosa). L'impulso dato all'agricoltura ha accresciuto le attività industriali, ora rappresentate nel 1940 da opifici che riguardavano specialmente le industrie alimentari (mulini, oleifici, pastifici, birrifici, ecc.), le chimiche (distillerie, saponifici, concerie, ecc.), le tessili, ed altre ancora. Vi erano poi fabbriche di latterizi e manifatture di tabacchi. Notevole l'artigianato per la fábbricazione di tappeti e stuoie, per il ricamo, la lavorazione delle pelli e dei metalli, anche preziosi. Gli artigiani erano preparati dall'apposita Scuola Professionale di Tripòli ed organizzatì da un provvido Sindacato. Lo sviluppo delle linee ferroviarie era di oltre quattrocento chilometri nel 1940. La rete stradale raggiungeva quasi i quattromila chilometri, in gran parte bitumati per agevolare il transito degli automezzi. Tra il 12 ed il 21 marzo 1937 fu inaugurata la Via Bàlbia, che andava dal confine egiziano a quello tunisino con uno sviluppo di 1932 km. Con essa, per la prima volta nella storia, si era ottenuto di saldare l'Africa minore (Marocco, Algeria, Tunisia) all'Egitto, attraverso la Lìbia.Fra Trìpoli e Tagiura si snodava l'autòdromo della Mellaha, ove ogni anno si svolgeva la "Corsa dei milioni". Molte linee aeree integravano, con quelle marittime, le comunicazioni libiche con l'Italia e gli altri centri del Mediterràneo. Aveva particolare importanza, per tutti i Paesi dell'Africa mediterranea, la Fiera di Trìpoli, che si teneva ogni anno in primavera: vera rassegna di lavorì e di prodotti che attirava espositori e visitatori non del solo Bacino mediterraneo.La Libia aveva notevoli risorse minerarie: nel 1940 si studiava la possibilita' di sfruttamento di giacimenti petroliferi.Infine va ricordato che dopo la nomina di Italo Balbo a governatore nel 1934 il numero dei coloni italiani in Libia si incrementò continuamente fino ad essere quasi 120.000 nel 1940. Ossia erano circa il 13% della popolazione della Libia, concentrati nella fascia costiera e nelle principali citta': erano il 37% degli abitanti di Tripoli ed il 31% di quelli di Bengazi nel 1940.
L' ETIOPIA
Il nome Etiòpia, di origine greca, deve preferirsi ad Abissìnia, nome usato dagli antichi Arabi per indicare una loro tribù che si recò a colonizzare l'Etiòpia. Lontani dal mare e dalle vie di comunicazione, gli abitanti dell’Etiòpia vissero una vita primitiva, più di quella di altri Paesi dell’Africa che poterono familiarizzarsi con gli Europei. Ogni tribù, ogni gente d'Etiòpia, aveva il suo Capo o Ras. Questi Capi dipendevano da un Capo a tutti superiore, detto Negus Neghesti, o Re dei Re. Il Negus Ailè Sellassiè riuscì a fare ammettere l'Etiòpia nella Società delle Nazioni. Ma nessuna opera moderna e civilizzatrice fu svolta in quell'Impero africano che, anche dopo essere stato ammesso a Ginevra, non aveva abolito la schiavitú. Mancavano strade, servizi postali e telegrafici. La sola linea ferroviaria, Gìbuti-Addis Abeba, era insufficiente allo sviluppo del paese. Niente scuole, niente ospedali per il popolo. I Missionari soltanto gettavano qualche luce di civiltà. L’Italia non si era mai disinteressata della vita dell’Etiòpia con la quale aveva contatti estesi e confini non precisati. Più volte aveva avviato trattative per fissare questi confini. Dai tempi di Adua finalmente un patto di pace costante e di amicizia Perpetua si riuscì a concluderlo nel 1928. In esso erano contemplati importanti lavori stradali per favorire lo scambio dei prodotti. Ma proprio da allora cominciarono aggressioni ai nostri posti di confine, razzìe, offese a nostri rappresentanti consolari. Il 5 dicembre 1935, ai pozzi di Ual-Ual, lungo la frontiera, il presidio italiano, comandato dal capitano Roberto Cimmaruta, viene attaccato da 1200 armati etiopici. L'attacco fu sanguinosamente respinto. L'Italia non poteva passare sopra tante offése: dovette prepararsi. Il Negus nell'agosto del 1935 ordinava la chiamata alle armi di tutti i suoi sudditi. Dopo pochi giorni liberava dalle prigioni 50 mila delinquenti a condizione che si arruolasséro.Mezzo milione di etiopi armati furono dislocati vicino alle nostre frontiere eritree e somali. Il conflitto italo-etiòpico fu sottoposto all'esame della Società delle Nazioni, cioè del consesso politico nel quale la maggioranza assoluta dei componenti era inspirata dalla Gran Bretagna. Di quella Società faceva parte ancora l'Etiòpia, sebbene da tre anni non pagasse la quota d'associazione e non avesse mantenuto la promessa di sopprimere la schiavitù.La Società delle Nazioni inflisse all'Italia le sanzioni economiche e minacciò le sanzioni militari. Si era nell'estate del 1935. Il governo italiano affrettava la preparazione militare: cominciarono le partenze dall'Italia verso le colonie dei volontari, dei militari regolari e di materiale bellico. La Gran Bretagna rafforzava le sue guarnigioni di Gibilterra, di Malta, di Aden e mandava nel Mediterràneo la sua grande flotta. Nel gennaio 1935 era stato nominato Commissario generale per l'A.O. il generale Emilio De Bono, Quadrùmviro della Marcia su Roma. Nel febbraio era partito per la Somàlia il generale Rodolfo Graziani. Il 3 ottobre 1935 cominciava la guerra. Dopo duri combattimenti ecco liberati Adigràt, Adua (5 ottobre), Axùm (15 ottobre). Altre terre vennero conquistate in Somàlia (Ogaden). Clero, notabili, uomini e armati etiopi si presentavano agl'ltaliani e si sottomettevano. Il 7 novembre fu conquistata Macallè, mentre il generale De Bono proclamava la libertà agli schiavi. La Società delle Nazioni impose il 18 novembre 1935 le Sanzioni economiche. Alla fine dell'anno, il generale Emilio De Bono fu promosso Maresciallo d'Italia e fatto rientrare: al suo posto in Etiopia fu nominato il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio. Sul fronte sòmalo, nella Battaglia del Canale Dòria, l’11 gennaio 1936 venne sconfitto Ras Desta; successivamente fu occupata Neghelli. Sul fronte eritreo avvenne nel gennaio la Prima battaglia del Tembièn per la strenua eroica difesa del Passo Uarieù; poi nel febbraio la battaglia dell'Endertà con la conquista della munitissima Amba Aradám dove venne sconfitto Ras Mulughietà.Alla fine dì febbraio l'Amba Alagi fu preso. Ai primi di marzo ecco la Seconda battaglia del Tembièn con la piena rotta di Ras Cassa e Ras Seium. Segue la Battaglia dello Scirè con la piena sconfitta di Ras Immirù. Il Negus, il 31 marzo, con le sue migliori truppe, armate e preparate alla europea anche da consiglieri europei, affrontava i nostri al Lago Ascianghi. Lo sconfiggemmo in pieno: egli si dette alla fuga con pochi fedeli. Otto giorni dopo gl'Italiani entravano a Dessiè. Intanto Achille Starace, con una colonna di truppe celeri, entrava in Gòndar, sottometteva i territori attorno al Lago Tana e raggiunge Debra Tàbor, non lontano dalla capitale etiopica. In Somàlia, dopo la Battaglia diva Sassabanèh, venne occupato Dagahbùr. La marcia continuava verso Haràr.Il Negus intanto tornava di nascosto alla capitale e di là, dopo aver spedito a Gibuti oro e cose preziose in quantità, fuggiva. Il 5 maggio 1936 le truppe del Maresciallo Badoglio entravano ad Addis Abeba. La sera del 9 maggio 1936, il Gran Consiglio del Fascismo proclamava la creazione dell'Impero italiano e approvava lo schema di un decreto legge che proclamava la sovranità piena ed ìntera dell'Italia sul territorio dell'Impero di Etiòpia, attribuendo il titolo d'Imperatore al Re Vittorio Emanuele III.
Africa Orientale Italiana ( A.O.I.)
I territori dell'Etiòpia, dell'Eritrea e della Somàlia costituivano nel 1940 l'Afrìca Orientale Italiana ( A.O.I.). Essa era posta alle dipendenze di un Governatore generale, che aveva sede in Addis Abeba e dipendeva direttamente ed esclusivamente dal Ministero per l'Africa italiana. Egli rappresentava il Re Imperatore ed era il Capo dell'amministrazione.
L' A.O.I. si divideva nel 1940 in 6 Governi: Eritrea, Somalia, Amara, Scioa, Harar e Galla-Sidama.
- Governo dell'Eritrea, capoluogo L'Asmara, comprendeva le popolazioni dell'ex-Colonia Eritrea più le tigrine e dàncale fino ai limiti meridionali déll'Aussa.
- Governo della Somàlia , con capoluogo Mogadìscio, comprendeva le popolazioni della vecchia Colonia della Somàlia italiana, più quelle dell'Ogadèn e marginali dell'altipiano.
- "Impero di Etiopia" formato da:
1) Governo dell'Amara, capoluogo Gondar, che comprendeva le popolazìoni amàriche dell'altipiano, dalla regione del lago Tana allo Scioa. 2) Governo dello Scioa, capoluogo Addis Abeba, capitale dell'Impero e dell'A.O.I., che comprendeva parte del vecchio Scioa. 3) Governo di Haràr, capoluogo Haràr, che comprendeva le popolazioni omonime, e quelle degli Arussi e dei Bale. 4) Governo dei Galla e Sidama, capoluogo Gimma, che comprendeva i gruppi ètnici dei Galla e dei Sidama posti ad occidente e a sud dell'altipiano.
Primo governatore di Addis Abeba fu lo squadrista della Marcia su Roma Giuseppe Bottai, successivamente ministro per la Educazione nazionale. Il Governatore generale, in quanto reggeva l'Impero, era anche Vicerè. Per la religione vi era completa libertà di culto. Ai mussulmani era stata concessa piena facoltà in tutto il territorio dell'A.O.I. di ripristinare i loro luoghi di culto, le loro antiche istituzioni pie e le scuole religiose (che erano state soppresse dal Negus). Le istituzioni cristiane avevano per Capo l'Abuna di Addis Abeba. La popolazione etiope era entusiasta nel 1940 dei nostri medici militari che si prodigavano per tutti. S'istituirono scuole d'ogni specie e grado nei maggiori centri.Si costruirono strade ed opere pubbliche con uno sforzo finanziario mai visto in Etiopia.Il Governo italiano aveva prestabilito un piano di organizzazione e di valorizzazione di tutta l'A.O.I. ed aveva stanziato ragguardevoli somme. Assicurato l'impiego di una notevole quantità di lavoratori italiani, venne avviato lo sviluppo economico dell'Impero d'Italia. La spesa più ragguardevole era quella rappresentata dalle strade. Del resto si era già costruita nel 1940 la grande camionabile Assab-Dessíè che finalmente risolveva il problema della circolazione in Etiòpia a vantaggio di Assab e di Massàua. Il caffè, coltivato razionalmente e più estensivamente, dava un notevole reddito. La produzione del cotone era curata in modo particolare (in Etiòpia crescevano bene la varietá egiziana (la più pregiata) e l'americana). Da certa flora etiopica si avevano prodotti chimici aromatici e medicamentosi. Le grandi boscaglie, della zona occidentale, offrivano legni pregiati. Il bestiame era abbondantissimo, ma l'allevamento era stato fatto in modo empirico. La produzione mineraria era promettente. Si trovavano miniere di oro nello Uòllega e nel territorio dei Beni Sciangúi. Fra le sabbie del torrente Birbìr si trovava platino per circa 1000 chilogrammi annui. Nel 1940 in Etiopia si avevano anche minerali di piombo, argento, ferro, rame, mercurio, zolfo, ecc. Si sono trovate anche rocce per cementi e per calce.