di Marco CUZZI
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Nel corso di una lezione tenuta nel marzo 1942 agli studenti di un liceo scientifico bolognese, il professore Umberto Brauzzi riassunse in alcune roboanti frasi l’intera azione politica italiana sulla Corsica e soprattutto le concrete motivazioni poste alla base della rivendicazione fascista dell’isola tirrenica :
« L’antemurale Sardo-Corso, con la Corsica in mano agli estranei, vorrebbe significare la più pericolosa breccia nel nostro dispositivo di difesa, la paralisi di ogni movimento, dall’arco ligure sino al campano. Vincitori senza la Corsica non ci potremmo dire mai ; ché, per apportare al mondo, serenamente, il contributo dell’indiscussa nostra civiltà e all’ordinamento della nuova Europa, è assolutamente necessario che non siano menate le basi del nostro movimento commerciale più ricco : ci occorre cioè il pieno possesso dell’isola1. E ancora, più avanti : La nostra piattaforma di lancio, la penisola, è profondamente vulnerabile, per l’intrusione, nel bel mezzo di una terra nostra, della Francia che sorveglia e preclude le libere vie del mare e dell’aria »2.Al di là delle dichiarazioni di continuità geografica (la Corsica veniva paragonata alla Dalmazia, con la speculare funzione di limite estremo di un « gran golfo » italiano : là l’Adriatico, qui il Tirreno) e di comunità nazionale (i corsi erano definiti come una naturale « filiazione » della « razza italica »), ciò che emergeva dal ragionamento di Brauzzi era la dimensione squisitamente strategica dell’intero impianto rivendicazionista: l’isola tirrenica doveva passare sotto il controllo di Roma per perfezionare la « fortezza Italia », chiudendo in modo particolare l’area della capitale in una sorta di « lago italiano » e permettendo un raddoppio della portaerei naturale sarda nel pieno centro del Mediterraneo.Di certo la rivendicazione trovava anche una remota motivazione in rancori mai sopiti, anzi semmai amplificati con il vicino d’Oltralpe. Emblematica appariva un’altra affermazione del Brauzzi : « Noi dobbiamo arguire della dura battaglia che l’Italia deve ancora sostenere per aggregarsi l’isola più italiana d’Italia »3. Frase emblematica ma anche di articolare peso politico, se si tiene conto del periodo in cui venne enunciata, con una Francia per metà occupata e per metà in bilico tra una neutralità collaborativa e un collaborazionismo totale e convinto nei confronti dell’Asse. Nuovamente, come nel caso delle altre vertenze con la Francia (principalmente Tunisi, Gibuti e il Nizzardo), si assisteva a una complicata e a tratti penosa relazione schizofrenica con Vichy, realtà statale a parole inglobata nel Nuovo Ordine ma nei fatti – e la sopravvivenza di una Corsica francese contro tutte le affermazioni del Brauzzi ne era la testimonianza – ad esso nemico, almeno secondo le considerazioni degli analisti italiani.
La rivendicazione fascista dell’isola tirrenica risaliva agli albori del Regime, e superava per anzianità le vertenze transalpine sulla Provenza e la Savoia. Nel 1924 venne istituito su ordine di Mussolini un « Comitato per la Corsica » avente lo scopo, come si legge in una relazione commissionata dal Ministero degli Esteri nel 1939, di « mantenere tra i regnicoli e i Corsi viva la questione dell’italianità dell’isola »4. La presidenza dell’ associazione fu data a Francesco Guerri, un docente universitario d’origine corsa, affiancato da un incaricato del Ministero degli Esteri e dall’onorevole Quirino Figlioli. Il Ministero dispose sul fondo del gabinetto un «congruo stanziamento» per sostenere le iniziative del Comitato. Nello stesso periodo il dicastero si preoccupò di riorganizzare la rappresentanza diplomatica italiana sull’isola. L’obiettivo era di rendere l’iniziativa irredentista più efficace possibile, dando ad essa un retroterra solido e organizzato composto dalla rete consolare ufficiale:« Benché per ovvie ragioni tali nostri Rappresentanti consolari abbiano sempre avuto in linea di massima istruzioni di « ignorare » l’azione irredentistica, svolta principalmente tramite elementi fiduciari, essi hanno sempre attivamente contribuito a facilitare questa attività riservata, sia collaborando in specifici casi alla messa in atto di alcuni progetti, sia e soprattutto fornendo a Roma precisi elementi di giudizio tratti da un diuturno controllo della situazione corsa »5. L’intera operazione, consolare e legata alle iniziative del Comitato di Guerri, sarebbe stata coordinata dal dicastero degli Esteri nella persona del funzionario del gabinetto marchese Blasco Lanza D’Ajeta. La duplice azione aveva scopi da un lato di « mantenere vive le aspirazioni nazionali italiane »6 e dall’altro di salvaguardare l’« identità italiana» dell’isola, «favorendo al tempo stesso dopo un secolo e mezzo di dominazione francese, la rinascita di un movimento a carattere irredentistico ». Ancora più chiari erano gli ordini dati al « Comitato per la Corsica », il deus ex machina di tutta la futura azione per l’isola e sull’isola : « salvaguardare nei suoi
molteplici aspetti e con tutti i possibili mezzi l’originaria italianità della popolazione ; favorire tra i corsi un sentimento di reazione al dominio francese (autonomismo-irredentismofilofascismo)»7. In quest’ottica fu giocoforza per un verso incentivare in patria ogni azione atta a propagandare l’italianità dell’ isola. D’altro canto si cercò di coinvolgere il movimento autonomista autoctono, o meglio la galassia indipendentista corsa, individuando in essa l’interlocutore più prossimo, animato da un separatismo a senso unico e filo italiano.Dopo un lungo periodo preparatorio, l’iniziativa rivendicazionista ebbe la sua prima stagione operativa all’indomani della crisi etiope, ma soprattutto esplose in tutta la sua virulenza con la celebre manifestazione del 30 novembre 1938 alla Camera, durante la quale i deputati – sapientemente pilotati – gridarono le rivendicazioni dei territori francesi : Tunisi, Nizza, Gibuti e Corsica, originando come ricorda De Felice il definitivo naufragio dei tentati
ravvicinamenti italo-francesi8. Gli strumenti di propaganda dall’Italia si risolsero in tre differenti iniziative.
Anzitutto, fu attivata un’intesa attività giornalistica, attraverso la stampa di un inserto settimanale del quotidiano livornese « Il Telegrafo » (Livorno era una delle città italiane con il più alto numero di cittadini d’origine corsa) ; il settimanale venne posto sotto la direzione dell’ onnipresente Francesco Guerri (sotto lo pseudonimo di « Minuto Grosso ») e fu finanziato direttamente dall’ufficio di D’Ajeta. L’inserto, che divenne ben presto il principale organo di propaganda stampata a favore della causa, ebbe collaboratori quasi esclusivamente d’origine corsa (o fuoriusciti o in Italia da generazioni) e si sarebbe occupato negli anni sia di problemi vari legati all’isola tirrenica sia delle più vaste e articolate relazioni con la Francia, sostenendo una durissima campagna contro il complotto « repubblicano, socialdemocratico e massonico » di Parigi e il sostegno del governo d’oltralpe all’antifascismo internazionale e italiano in particolare. Il settimanale sarebbe stato distribuito clandestinamente in Corsica. All’ iniziativa specifica de « Il Telegrafo » si sarebbe affiancata, con il benestare e lasupervisione del Ministero della Cultura popolare, un’ azione propagandista su alcuni
quotidiani nazionali che si sarebbe intensificata, come avrebbe scritto sagacemente DAjeta «particolarmente nei momenti di maggior disagio con la Francia »9.Il secondo strumento operativo fu rappresentato dalle varie iniziative d’ordine scientifico e culturale. Un rivista trimestrale, « L’Archivio storico di Corsica », sotto la prestigiosa direzione dello storico del regime Gioacchino Volpe, si sarebbe occupata di studi storico-letterari inerenti all’isola, con particolare riferimento alle fasi di maggiore legame con la Penisola (la dominazione della Repubblica del Grifone, ad esempio) a tutti quei personaggi caratterizzati da uno spiccato impegno autonomista o indipendentista (come Pasquale Paoli) o a tutti i corsi che avevano influito sulla vita culturale e politica francese, nel tentativo di dimostrare una superiorità corsa rispetto alla Potenza « colonizzatrice » che sottilmente sottintendeva per sillogismo una superiorità della « razza italica » : campione di queste analisi non poteva che essere, ça va sans dire, il Grande Corso per eccellenza, Napoleone Bonaparte (anzi, Buonaparte, secondo la denominazione originale del cognome, e che veniva ribadita dagli studiosi italiani per sottolinearne l’origine peninsulare)10. Anche la rivista di Volpe sarebbe stata distribuita clandestinamente sull’isola tirrenica. L’infaticabile Guerri si sarebbe occupato altresì di dirigere un mensile di divulgazione scientifica (« Corsica antica e moderna »), con il fuoriuscito ex dirigente autonomista corso Marco Angeli come caporedattore11. Il periodico avrebbe dovuto affiancarsi alla rivista di Volpe, completandone l’opera con studi d’ordine antropologico, etnografico, geografico e finanche geologico, tutti atti a ribadire per l’ennesima volta il legame con la vera e unica « madrepatria ». Il docente dell’Università di Pavia Gino Bottiglioni avrebbe infine coordinato le pubblicazioni dell’ «Atlante linguistico della Corsica », finanziato da un consorzio tra i Ministeri degli Esteri,
dell’Interno e dell’Educazione nazionale nonché dall’Università di Cagliari, uno degli atenei più attenti all’operazione verso l’isola tirrenica. Lo scopo, intuibile sin dalla denominazione
della testata, era quello di individuare tutti i possibili legami glottologici e linguistici tra la Corsica e l’Italia, per giungere alla dimostrazione della tesi secondo la quale « le origini
idiomatiche corse sono strettamente legate a quelle toscane, sarde e sicule »12.
Il terzo strumento di propaganda in Italia fu caratterizzato dai Gruppi di cultura corsi (Gcc) costituiti a Pavia nel 1938 su iniziativa di Pietro (Petru) Giovacchini, detto « il parroco » (u parrucu). Nato nel 1909 in Corsica, a Canale di Verde, e trasferitosi a Pavia nel 1930 dove si era laureato in medicina e chirurgia, Giovacchini, che fu anche camicia nera volontaria in Spagna, sarebbe diventato negli anni seguenti il principale esponente del movimento irredentista filofascista. Scopo dei Gcc di Giovacchini era, in origine, quello di inquadrare sotto un’unica sigla tutti i cittadini italiani d’origine corsa e i corsi fuoriusciti, allo scopo di promuovere l’italianità dell’isola sia dal punto di vista culturale che linguistico. Nei giorni immediatamente successivi al settembre 1939 l’ufficio di D’Ajeta, attraverso il « Comitato per la Corsica », iniziò un monitoraggio sui dichiarati 15 mila iscritti ai Gcc (concentrati soprattutto in Liguria, Toscana e Sardegna) per comprendere se vi erano le condizioni per trasformare, con corrispondente ed adeguato finanziamento da parte del Ministero, l’iniziativa culturale dei Gruppi nell’attiva propaganda irredentistica collegata con i movimenti clandestini sull’isola. Si trattava tuttavia di un progetto ipotetico che, almeno sino al 1939, non sarebbe stato applicato : le condizioni non sussistevano e i Gcc avrebbero dovuto ricoprire incarichi meno dirompenti13. Questa organizzazione, secondo il diplomatico italiano, poteva diventare un utile « movimento d’opinione », atto a coordinare da un lato la diffusione in madrepatria della battaglia per una Corsica prima indipendente dalla Francia e quindi di nuovo italiana e dall’altro l’inserimento dei cittadini corsi residenti in Italia, o recentemente fuoriusciti dall’isola tirrenica, nel pieno della vita nazionale. In questo D’Ajeta suggeriva al Capo di gabinetto del Minculpop, Luciano, di facilitare l’inserimento dei corsi residenti in Italia nella vita del Paese, riconoscendo loro uno status particolare non di cittadini stranieri (e di li a poco « appartenenti a nazione nemica ») , ma di « cittadini italiani non regnicoli », secondo una formula adottata anche nei confronti degli italiani di Spalato e dalmati sottoposti all’amministrazione jugoslava. Inoltre, sarebbe stato auspicabile che i corsi fossero ammessi nel Partito nazionale fascista, anche se formalmente non italiani14. Nei disegni di D’Ajeta i Gcc di Giovacchini avrebbero dovuto affiancarsi alle autorità nel sovrintendere e canalizzare l’inserimento della comunità corsa in Italia all’interno della
vita nazionale. I rischi di questo compito erano tuttavia ben chiari al diplomatico italiano : si sarebbe mantenuto « […] uno stretto controllo cui suoi ben noti entusiasmi di Giovacchini che potrebbero alle volte rivelarsi intempestivi », mentre ai Gruppi stessi non sarebbero stati affidati « […] compiti direttivi » né « […] la possibilità di essere a conoscenza della riservata azione italiana nel suo complesso » : le caratteristiche del temperamento corso, concludeva D’Ajeta non senza ironia, forse involontaria, e cioè un temperamento « facile all’entusiasmo ed all’abbattimento, partigiano, fazioso, interessato » sconsigliavano un salto qualitativo dei Gruppi in un’organizzazione esplicitamente eversiva, una sorta di ustaša tirrenici15. In realtà l’esclusione dei Gcc di Giovacchini dall’azione meramente irredentista e il loro sconfinamento ad iniziative propagandiste e d’inquadramento in Italia più che da motivi di inaffidabilità caratteriale era suggerita dalla delicata rete che l’Ufficio di D’Ajeta aveva esteso sull’isola attraverso sia il « Comitato per la Corsica » di Guerri, sia la rete diplomatica
rafforzata dalla riforma della metà degli anni venti.Principale strumento dell’iniziativa in loco fu il « Partitu corsu d’azzione » (Pca) di Pietro (Petru) Rocca, un ex combattente, decorato con la Legion d’Onore dallo Stato maggiore francese. Attraverso l’organo ufficiale del partito, il settimanale bilingue francocorso « A Muvra », il movimento di Rocca si era rapidamente spostato da una posizione moderatamente autonomista su una sempre più spiccata istanza indipendentista e nettamente filo italiana. Radiato dall’albo della Legion d’Onore, Rocca era perennemente controllato
dalla polizia francese, rischiando quotidianamente l’arresto mentre il suo giornale aveva subito numerosi sequestri sino alla sospensione d’obbligo delle pubblicazioni subito dopo lo scoppio della guerra con la Germania. Pur senza entrare nei dettagli, per questioni « di particolare riservatezza », D’Ajeta elencava il Partito e il giornale di Rocca come «strumenti» dell’iniziativa italiana sull’isola tirrenica, sottintendendo la natura e il volume degli appoggi che il governo di Roma riservava al movimento autonomista insulare16 : il principale trait d’union tra il Partito autonomista e il Comitato per la Corsica sarebbe stato l’ex dirigente del partito Marco Angeli, caporedattore di « Corsica antica e moderna » e « decano » del fuoriuscitismo. In una successiva lettera assai polemica nei confronti del
Giovacchini, ritenuto incapace e indegno di guidare i Gcc, Angeli avrebbe riassunto il programma del partito di Rocca come segue : « Il programma […] si riallaccia alla tradizione di Pasquale Paoli, riafferma lo spirito battagliero dei corsi contro la tirannide francese ammantata d’ipocrisia e d’immorali principi e sostiene per la Corsica le ragioni della riscossa »17. Le attività italiane sull’isola vennero condotte complessivamente con grande abilità e riservatezza, tanto da non suscitare almeno da parte del corpo diplomatico francese in Italia alcun sospetto, anzi. È interessante notare infatti il relativo disinteresse transalpino nei confronti delle articolate attività irredentiste e rivendicazioniste in Italia. A distanza di quasi due mesi dal « salto qualitativo » del movimento irredentista François-Poncet, ambasciatore francese in Italia, scriveva al suo Ministro degli Esteri Georges Bonnet una breve relazione nella quale riassumeva con molte incertezze la rete propagandista di D’Ajeta, Guerri e
Giovacchini, facendo trasparire una inspiegabile difficoltà nel raccogliere informazioni più precise, anche attraverso il consolato francese a Livorno, intuita dai diplomatici come la vera centrale operativa della propaganda irredentista. Interessante il commento di chiusura : « J’ai
cru devoir signaler, à toutes fins utiles, à l’attention du Département ces indications évidemment quelque peu fragmentaires. Elles me paraissent cepoendant de nature à
démontrer l’intérêt croissant que pour des raisons au moins tactiques, et peut-être pour obtenir, le cas échéant, d’autres avantages en échange d’un éventuel désistement, le
gouvernement italien porte ou affecte de porter désormais à ‘l’île perdue’ »18.Questo atteggiamento piuttosto disincantato e di sottovalutazione del problema, da
parte della diplomazia francese, sarebbe proseguito anche nei mesi successivi : « On constate qu’aujourd’hui, rien n’est fait ici [in Italia – NdA] pour enflammer à cet egard le moral de la nation », si legge ad esempio in un nuovo dispaccio di François-Poncet a Parigi in merito alle
solite rivendicazioni italiane, tra le quali la Corsica19. Un trucco, quindi, un ballon d’essai propagandistico ad uso più interno che esterno : delle operazioni riservate condotte in Corsica dal Comitato di Guerri e dall’ufficio di D’Ajeta, non compare alcuna traccia nelle relazioni
dei rappresentanti diplomatici transalpini in Italia.Inaugurate alla fine del 1938, le operazioni irredentiste avrebbero subito un rallentamento nel settembre 1939. Lo scoppio delle ostilità aveva ridotto la portata delle iniziative sull’isola. Quelli che il diplomatico italiano definiva « contatti con personalità corse », senza specificarne nomi e qualifiche, apparivano impossibili sin dai primi giorni del settembre. Anche le sovvenzioni che erano state erogate negli anni precedenti a favore della
stampa isolana più filo italiana sembravano « molto difficili », anche se d’Ajeta confidava in un non meglio precisato miglioramento futuro delle condizioni per riaprire un canale con
alcuni quotidiani corsi. Assai precaria risultava la distribuzione clandestina della pubblicistica italiana (dall’inserto de « Il Telegrafo » alle riviste culturali e scientifiche). Apparentemente
in condizioni migliori appariva un altro strumento, probabilmente ancora più importante e radicato del Partito di Rocca : « Fedeli alla nostra causa, alla quale hanno reso e rendono preziosi servizi, si sono dimostrati alcuni Ordini religiosi con i quali il « Comitato » intrattiene riservati e opportuni contatti »20.Ma, in generale, l’iniziativa in loco apparve sin dal primo mese di guerra alquanto
limitata, e ben poco serviva la non belligeranza italiana : i fiduciari italiani legati al « Comitato per la Corsica » e incaricati dai diplomatici di mantenere la rete quadrangolare (autonomisti-personalità locali-giornali-clero) correvano « rischi notevolissimi », mentre, essendo la Corsica stata dichiarata « zona operativa » dallo Stato maggiore francese, avrebbe presto subito lo stesso destino dell’Alsazia dove, come ricordava D’Ajeta, i locali capi autonomisti del movimento pronazista erano stati da poco condannati alla fucilazione per alto tradimento : « Noi abbiamo qualcuno dei nostri ‘amici’ nelle prigioni militari francesi ». Inoltre : « La popolazione è antitaliana e certamente antifascista : gli autonomisti – un esiguo numero – non dimostrano certamente velleità di martirio. I più coraggiosi sono indubbiamente ora in Italia, avendo « disertato » l’esercito francese »21.Dinanzi a un siffatto quadro, il Ministro della Cultura popolare, Alessandro Pavolini concordò con il Ministero degli Esteri sull’opportunità di sospendere le attività in Corsica, mantenendo i contatti ma evitando di aggravare la già precaria situazione della rete del « Comitato » con iniziative concrete : si doveva attendere la maturazione delle condizioni politiche e militari22.
Nel clima d’attesa e d’incertezza caratterizzante la non belligeranza, la decisione presa dal Governo di sospendere l’iniziativa sull’isola si allargò anche nei confronti dell’attività propagandista in Italia. Del fatto si accorse anche François-Poncet, che segnalò a Parigi la riduzione dell’attività propagandista sui giornali nazionali, motivandola con i tentativi della diplomazia italiana di giungere a una mediazione nel corso della crisi d’agosto 193923. Il Comitato ordinò a Giovacchini di sospendere ogni azione. Si tenga presente che lo scoppio della guerra con la Germania aveva avuto un’ulteriore risvolto anche in Italia : più di metà dei principali esponenti dei Gcc, talvolta per un riscoperto sentimento patriottico e il più delle volte per timore di rappresaglie del governo di Parigi, era rientrata sull’isola tirrenica24.Disciplinato, contro tutti i sospetti di D’Ajeta che come si è detto lo giudicava impulsivo e
irrequieto, il leader irredentista inviò a tutti i Gruppi distribuiti nella Penisola una circolare che, pur comandando il silenzio, lasciava presagire una futura offensiva addirittura più militare che di propaganda : « Periodo di attesa e di preparazione silenziosa. Astenersi da qualsiasi manifestazione pubblica o di massa ; non intralciare il lavoro della nostra diplomazia. Non scoprire le nostre batterie, ma non per questo abbandonarle. Io farò sapere quando sarà venuto il momento di agitarsi »25.
L’attività dei Gruppi di Giovacchini e più generalmente del Comitato per la Corsica si ridussero sino al maggio 1940 e l’impegno dei principali dirigenti della comunità corsa in Italia appare assai più prosaico e meno ideale del periodo precedente, concentrato soprattutto su una serie di favori personali richiesti a Mussolini attraverso sia gli Esteri che il Minculpop26. Il 22 maggio 1940 Giovacchini si incontrò con Pavolini : la data è fatidica, almeno per la breve storia della rivendicazione fascista della Corsica, e segna l’avvicendamento tra il capo dei Gcc e il « Comitato per la Corsica » di Guerri, ormai definitivamente anestetizzato, alla guida dell’iniziativa propagandista.
Giovacchini illustrò al Ministro della Cultura popolare lo stato della sua organizzazione, probabilmente forzando sui numeri e amplificandone le effettive possibilità. I Gruppi di cultura corsi ammontavano a 170 sezioni, sia in Italia che all’estero, per un totale di 22 mila iscritti. I quadri attivi erano circa 250,
anche se solo una parte potevano essere effettivamente impiegati in eventuali e non precisate «azioni». Pavolini concordò con il presidente dei Gcc – ribattezzatosi forse in vista di un salto qualitativo in campo bellico « presidente generale» –di intensificare la propaganda e di dare il via alla « costituzione e addestramento di un nucleo d’azione, da tenere pronto per essere inviato in Corsica a un momento dato »27.Si trattava di un’esplicita risposta a una dichiarazione da Giovacchini al ministro soltanto alcuni giorni prima (« I Corsi irredenti riuniti a Roma sono decisi a passare all’azione »)28. Il ministro stanziò 30 mila lire per le spese di propaganda, alle quali si aggiunsero cinque mila lire per l’acquisto da parte del Minculopop di un opuscolo sulla Corsica a cura dei Gruppi stessi29. Tuttavia, la tanto agognata « azione » non venne neppure dopo il 10 giugno. I Gcc non si mossero e la propaganda continuò ad essere sospesa. L’unico significativo atto corrispondente al nuovo stato di guerra fu la trasformazione dei Gruppi di cultura in « Gruppi d’azione irredentista corsa » (Gaic). In un impeto di entusiasmo, esemplificativo peraltro di una certa confusione organizzativa e organigrammatica, Giovacchini ribattezzò poco dopo i Gaic prima in « Movimento irredentista corso » e quindi in « Movimento d’azione irredentista corso » (Maic) : il tentativo era quello di gettare le basi per una vera e propria organizzazione insurrezionale che affiancasse le truppe italiane nella « liberazione » dell’isola30. Ulteriore segnale della volontà degli irredentisti di Giovacchini di darsi una struttura più militante fu lo scorporo dal movimento di tutta l’iniziativa scientifico-culturale, attraverso la costituzione dell’« Istituto nazionale di studi corsi » a Pavia, il quale organizzò lezioni universitarie, una mostra a Venezia sull’italianità dell’isola, iniziative e mobilitazioni per l’intitolazione di piazze e vie alla Corsica e a Pasquale Paoli. Libero dall’impegno culturale, Giovacchini poteva lanciarsi finalmente nell’impresa politica e forse militare. Ma la partita era tutta diplomatica e comprendeva da un lato i rapporti tra Italia e Germania e dall’altro la complicata questione armistiziale con la Francia. All’indomani del crollo francese il governo italiano aveva inserito la Corsica tra le prioritarie richieste territoriali : « L’unione all’Italia » si leggeva nel cahier de doléances del Ministero degli
esteri alla vigilia del vertice italo tedesco del giugno 1940 « è la condizione prima e fondamentale per il suo sviluppo e la sua prosperità. La Corsica è italiana geograficamente, storicamente ed etnicamente »31. Nei progetti iniziali della Commissione italiana per l’armistizio con la Francia (Ciaf), la Corsica sarebbe stata inserita tra le aspirazioni apparentemente irrinunciabili. Tuttavia, le lunghe trattative di Villa Incisa e poi l’infinita vertenza della Ciaf avrebbero visto la rivendicazione corsa in una posizione sempre più sfumata. Una delegazione della Ciaf giunse in Corsica nel luglio 1940 e apparentemente il tema trattato con le locali autorità vichysois sembrò più orientato verso la smilitarizzazione dell’isola, secondo le clausole di Villa Incisa. I delegati italiani apparvero quindi molto rispettosi dell’autorità francese, prendendo le distanze dall’estremismo dei seguaci di Giovacchini o di Guerri. Tuttavia, come ricorda Rainero « Non si creda che la rinuncia all’annessione immediata della Corsica sia passata tra le decisioni più facili del regime ; la rivendicazione rimase quasi « a futura memoria », in attesa di un regolamento della pace [...] »32. D’altronde non a caso il maresciallo Badoglio, soltanto due mesi dopo la visita della delegazione della Ciaf sull’isola, sottopose a Mussolini un progetto per l’invasione della Corsica mediante due divisioni, provenienti rispettivamente da Livorno e dalla Sardegna33. Il piano si sarebbe sviluppato nei mesi successivi. Nell’incontro tra i capi di stato maggiore della marina italiana e tedesca, tenutosi a Merano il 13 e 14 febbraio 1941, l’ammiraglio Riccardi disse chiaramente al suo collega germanico Raeder che lo stato maggiore della marina aveva predisposto un piano per l’occupazione dell’isola, suscitando peraltro disapprovazione da parte tedesca : l’occupazione della Corsica non solo era considerata dal Terzo Reich inutile, ma anzi dannosa nella strategia globale del conflitto, e avrebbe spinto definitivamente Vichy (e senz’altro l’intero Nordafrica francese, ancora tentennante) tra le braccia dei britannici34. Irritati delle opinioni dell’alleato, ma impossibilitati a prescindere da queste visti i rapporti di forza all’interno dell’Asse, i comandi italiani proseguirono nel perfezionamento solo teorico del piano, in attesa di tempi più favorevoli, e lo trasformarono in un progetto interforze tra marina ed esercito. Il nuovo piano, redatto dall’ammiraglio Vannutelli (che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di comandante dell’eventuale contingente d’occupazione), escludeva significativamente l’impiego dei separatisti di Rocca e tanto meno degli irredentisti di Giovacchini, entrambi considerati infidi e pasticcioni. Pur prevedendo ampie tutele all’« etnia corsa » (riconoscimento dei diritti acquisiti degli impiegati corsi, uso del dialetto corso nei processi eccetera), l’isola sarebbe stata governata da un viceré (come l’Albania) o da un alto commissario (come la Slovenia) con pieni poteri esecutivi e due sotto-governatorati ad Ajaccio e a Bastia, corrispondenti alle due zone (le « Bande ») in cui veniva tradizionalmente suddivisa l’isola tirrenica35.
N.B.: Il testo viene tratto dal libro di Marco Cuzzi intitolato “La rivendicazione fascista della Corsica (1938-1943)”.
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